Venerdì Santo 2015: intervento al termine della processione serale

 

Gesù, «Mio Signore e mio Dio!» (Gv 20,28), questa sera, accompagnandoti con la mia gente per le strade della nostra Agrigento, ho ripensato alle parole di Paolo che di te afferma che, da ricco, ti sei fatto povero per noi, perché noi divenissimo ricchi per mezzo della tua povertà (cfr 2Cor 8,9). Tu sai perciò cosa significa essere povero, per questo ti parlo sapendo che mi comprendi. Questo nostro tempo, Gesù, è tempo di povertà e di miseria: anche qui, nella mia terra agrigentina, ci sono molte madri e padri di famiglia che, scippati della loro speranza, sono precipitati in una crisi, che non è solo economica ma, come dice il Papa, è anche umana e umanitaria (cfr Evangelii gaudium, 55), cadendo in una disperazione spesso silenziosamente assordante; anche qui da noi, il primato del guadagno e la corsa all’accumulo scalza quello del lavoro, che invece garantisce pane e libertà, onore e dignità; anche qui ci si sente strozzati da una politica della quale si stenta a percepire il suo interesse per il bene di tutti: immobilista su problemi di vecchia data, è capace di correre veloce quando deve occuparsi di interessi di parte; qui, siamo colpiti dal vampirismo della mafia che, continuo a ribadirlo, non può andare d’accordo con il Vangelo e la devozione ai santi; anche qui, la viscida corruzione, rischia di riempire di sgradevole odore l’aria di questo territorio, inquinandolo con le velenose esalazioni della sua putrefazione; qui, come non ci si preoccupa di salvare le apparenze, così non fa problema percorrere le vie della disonestà: penso alla “carica delle 104”, punta dell’iceberg di un sistema di corrotti e corruttori?! E mi chiedo, come mai mentre molte imprese e attività commerciali sono costrette a chiudere i battenti, c’è invece una corsa disperata verso la costituzione di imprese sociali e l’apertura di case famiglia, meglio se per minori non accompagnati? Ciò non dà l’idea di una corsa allo sfruttamento dei poveri? Lo insegna lo scandalo di Roma. Signore, ti dico subito però che non è per tutti così perché, nel settore dell’accoglienza degli stranieri, per fortuna, ci sono anche persone oneste – e non sono poche – che mettono il cuore nel loro attivo servizio! Sai, in queste strutture capita di incontrare due categorie di poveri che convivono insieme: la prima è formata da tanti nostri operatori-lavoratori che non sempre vedono riconosciuti i loro diritti anzi devono, in silenzio, accontentarsi di un ingiusto salario, oltre che firmare una busta-paga non corrispondente all’effettivo pagamento e la seconda è quella dei poveri assistiti, non visti come fratelli da accogliere, costretti a scegliere tra la morte certa nei loro paesi e la morte probabile nell’affrontare il viaggio, ma considerati, sia di là che di qua, semplicemente come merce che fa guadagnare. C’è, anche qui da noi, purtroppo, una forma sottile e diffusa di xenofobia che si arrichisce con lo sfruttamento dei migranti, i quali prima schiavizzati dai trafficanti di uomini e dagli scafisti poi si vedono nuovamente frodati nelle terre ove pensavano ci fosse per loro pane e dignità (cfr J. M. Bergoglio, 2008). Signore, tu sai tutto (cf Gv 21,17), se alzo la voce per la mia gente, per i poveri, i migranti, è perché il sangue dei miei fratelli, dalla terra e dal mare, reclama giustizia (cfr Gn 4,10). Continua a pag.7 Eppure, Signore, circa un secolo fa, proprio questa terra e questa Chiesa seppero dare testimonianza di lungimirante carità politica e sociale: Vincenzo Morinello a Licata vedeva nei poverelli “la carne di Gesù”, sacramento da amare e del quale prendersi cura; ad Aragona, Vincenzo Gandolfo accoglieva, come fratelli, i zolfatai sfruttati fino al midollo schierandosi con loro nel rivendicare i diritti di figli di Dio e di lavoratori; a San Giovanni Gemini, Michele Martorana promuoveva il futuro dando cuore alle giovani generazioni; e qui, ad Agrigento, don Michele Sclàfani si spendeva senza risparmio per la città e per le classi più povere, combattendo la miseria e le tante criticità di allora, causate anche da una classe politica che, pur dicendosi liberale, era di fatto illiberale. Oggi, nella nostra città, don Sclàfani si troverebbe a combattere ancora la miseria, il malaffare, l’usura, l’abuso e lo scempio del territorio, la prostituzione, la disoccupazione, la violenza domestica, la violenza sulle donne, le dipendenze da alcol, pornografia, stupefacenti, slot machine, “gratta e vinci” e da giochi d’azzardo vari… Signore Gesù, facci capire che non possiamo fare finta di nulla. Facci capire che non possiamo fare come coloro che si turano il naso e, fingendo di non vedere, si voltano dall’altro lato. Facci ricordare che, la corruzione e il malaffare, come ogni forma di male sociale, partono dal cuore egoista dei singoli, anche di coloro che si ritengono buoni, rendendoli un po’ alla volta indifferenti al dolore umano che provocano. Signore, ci hai detto che «i poveri li avete sempre con voi» (Mc 14,7) e non solo perché a loro si può fare del bene, ma perché da loro si può imparare a condividere il poco che si è a fronte del molto che si ha (Evangelii gaudium, 198). Siamo diventati incapaci di distinguere il necessario dal superfluo. Non solo diamo ai poveri i nostri scarti, quello che non ci serve, ripulendo armadi e scarpiere, in più non siamo capaci di condividere sguardi, gesti di prossimità e di amicizia. E pur affermando di essere buoni credenti “sentiamo la tentazione di mantenere una prudente distanza dalle piaghe del Signore” (cfr Papa Francesco). Gesù, ciò che temo di più è che questa terra si assuefaccia a tutto ciò. Temo che la mia Chiesa e la mia gente assuefacendosi al sacro, non ti segua con lo stile e il passo che tu le chiedi. Temo che i sussulti di indignazione degli onesti (marce per la legalità e il ricordo delle vittime di mafia, la protesta per lo scandalo per l’elevato numero delle sedute delle commissioni consiliari, la marcia per il Polo Universitario di Agrigento) rischino di essere come i fuochi di paglia, che si spengono prestissimo, soffocati da quel terribile: ‘ma chi te lo fa fare, tanto …’. Temo che l’indifferenza e l’indolenza così come il girarci dall’altro lato o il tirare innanzi siano il narcotico più potente per questo sistema “inequo” e generatore di violenza (Evangelii gaudium, 59). Signore, ti chiedo di aver compassione di Agrigento. Qui tante realtà sono chiuse o in procinto di chiudersi: Cattedrale, strade, ponti, viadotti, centro storico, spazi sportivi e culturali, attività commerciali… e l’elenco è lungo. Tu sai che, questa tua città, ha il primato di occupare, da tempo, gli ultimi posti delle classifiche nazionali per la qualità della vita mentre pare riesca ad ottenere un primato in un altro campo: è, cioè, una città senza governo – sbaglio a dire così? –, visto che nelle tante sedi e organismi istituzionali ci sono commissari straordinari a reggerla. A quanto pare siamo arrivati al numero di sette o otto. A loro va la gratitudine per il loro impegno per questa città. Ma, se per molti agrigentini, tutto questo non significa niente: tanto ad Agrigento – dicono – tutto è possibile; per me è una situazione paradossale che spero non diventi ordinaria. Aiutaci, Signore! Tu, intanto, con il tuo amore per noi e con il tuo scegliere le “periferie della vita”: i poveri, i senza diritti e dignità, gli emarginati, continua a provocarci e a scandalizzarci per far sì che finalmente tutti orientiamo lo sguardo nelle direzioni e preferenze che tu indichi. Gesù, però sento il bisogno di dirti che, anche se è vero che c’è una lunga serie di saccheggiatori di vita, di ladri di infanzia e di futuro e di predoni di speranza, è altrettanto vero che qui, ad Agrigento, non mancano donne generose che fanno dono di sé, senza calcolo, e ungono di bellezza, così come sanno e possono, le nostre case e le istituzioni. Anche qui, sono tanti i giovani anonimi, che stanno con te e dalla tua parte, e non si lasciano né catturare, né irretire nelle maglie dei mercanti di male e di morte. Anche se oggi come allora, Signore, non mancano i tradimenti e i rinnegamenti del potere che si fa dominio, non mancano i giusti che fanno del loro potere un servizio. Anche qui, Signore, ci sono tanti Cirenei, buoni, onesti e impegnati, penso ai non pochi impiegati, professionisti, lavoratori. Un pensiero orante voglio rivolgerlo a Te per quei molti dignitosi agricoltori che, nonostante le già tante difficoltà, si vedano costretti a un ulteriore salasso costituito dal pagamento dell’IMU sui terreni agricoli. Anche questa è Agrigento, quella vera e bella, quella che ami e che amo. E sai, fiero di questa brava gente, sono contento di condividere la mia vita con loro e di essere considerato uno di loro. Chiudo con una preghiera: «Signore, sappiamo che Tu vivi nella città, e che per te noi siamo i tuoi vicini di casa e dirimpettai. Sappiamo che Tu vivi in mezzo alle gioie, ai desideri, alle speranze, come anche nei dolori e nelle sofferenze di Agrigento . Tante ombre, come la violenza, la povertà, l’individualismo e l’esclusione, segnano la nostra quotidianità, fa’ che queste non ci impediscano di cercare e contemplare il tuo Volto, o Dio della vita. Insegnaci a camminare sempre di più incontro e accanto all’altro, ad accettare e convivere con il diverso. Facci ricordare Signore, che non si è cittadini solo per il fatto di votare, ma aiutaci a capire che dobbiamo impegnarci a costruire con gesti semplici, ripetuti e veri un’Agrigento libera e solidale. Amen. (Preghiera ispirata da: CELAM, Documento di Aparecida, 514).

Francesco Montenegro, Arcivescovo di Agrigento