Una nuova presenza religiosa a Raffadali: la “Comunità dei figli di Dio” di don Divo Barsotti

Sabato 2 aprile 2022, a Raffadali, l’arcivescovo,  mons. Alessandro Damiano, ha inaugurato ufficialmente con una celebrazione eucaristica – durante la quale è stato consacrato l‘altare della cappella “Beato Francesco Sposto” – la presenza di una nuova comunità religiosa in diocesi: la “Comunità dei figli di Dio”  di don Divo Barsotti.

“Siamo arrivati a Raffadali – dice padre Martino resposabile della casa al settimanale diocesano L’Amico del Popolo  –  in pianta stabile il 4 febbraio scorso abbiamo voluto dedicare la nostra cappella al Beato Francesco Spoto per rendere omaggio a un martire figlio di questa terra. Siamo in tre: con me ci sono fratel Antonio, fratel Emmanuel. Siamo dei monaci ma un po’ sui generis – continua padre Martino – nel senso che la nostra comunità denominata “Comunità dei figli di Dio” fondata da don Divo Barsotti, sacerdote toscano di cui è in corso la causa di beatificazione, a Firenze  nel lontano 1947, è in realtà un movimento che abbraccia religiosi e laici. In anticipo coi tempi p. Divo ha voluto dare forma concreta a quella chiamata universale alla santità che il Concilio Vaticano II avrebbe di lì a poco esplicitato e di cui Barsotti percepiva l’importanza per la vita della chiesa nel mondo contemporaneo .  Così nacque la Comunità dei figli di Dio, il cui motto divenne “Ut sitis filii patris vestri” – siate figli del Padre vostro, traendo spunto dal vangelo di Matteo. L’intento di p. Barsotti era quello di proporre a tutti i cristiani   una nuova forma di monachesimo, non un monachesimo dentro le mura di un monastero ma un monachesimo che potesse abbracciare tutti gli stati di vita, un monachesimo da vivere prevalentemente nel mondo, un monachesimo interiorizzato attraverso la riscoperta del proprio battesimo: qualcosa di simile al modo di percepire il monachesimo nella chiesa ortodossa, la cui spiritualità è sempre stata cara  a don Divo. La comunità è aperta a tutti ma non ha opere proprie perché essendo per definizione monastica non può, come il monachesimo di tutti tempi, essere legata a carismi particolari. Chiunque voglia appartenere alla comunità segue un percorso di formazione al termine del quale  diviene effettivamente membro della  comunità con un atto pubblico e solenne che chiamiamo  consacrazione e perciò diviene un “consacrato”.

La comunità dei figli di Dio  – ci spiega padre Martino – è strutturata  in quattro rami. Al primo ramoappartengono tutti i consacrati di tutte le età che vivono la loro consacrazione rimanendo nel mondo senza emettere voti. Al secondo ramo appartengono i consacrati sposati con i voti di povertà castità coniugale e obbedienza. Il terzo ramo è formato dai consacrati non sposati che rimangono nel mondo ma con i voti di povertà castità perfetta e obbedienza Il quarto ramo abbraccia tutti quelli che vogliono vivere una vita monastica da “religiosi” in senso stretto con l’abito religioso, i voti di povertà castità perfetta e obbedienza nelle case di vita comune dove è la preghiera a scandire il ritmo della giornata. Una di queste case – conclude – è appunto questa appena aperta a Raffadali, una casa che è stato certamente un dono della provvidenza. Siamo grati al Signore per questo, siamo grati alla carissima  Giuseppina Impiduglia nostra consacrata di Raffadali già  passata a miglior vita che ci ha fatto dono di questa casa, come siamo grati al Vescovo Alessandro che ci ha accolto in questa diocesi e alla città di Raffadali”.