Per la prima volta la reliquia del beato Livatino oltre lo Stretto, sosta a Monteroni di Lecce

di Christian Tarantino

Giorni intensi di preghiera, di emozione, riflessione e positività quelli dal 1° al 3 aprile per i cittadini monteronesi. L’intera comunità ha infatti avuto l’occasione di vivere un’esperienza particolare e privilegiata ovvero la peregrinatio della reliquia del Beato Rosario Angelo Livatino, magistrato e martire della giustizia, ucciso in odium fidei. Un evento storico in quanto è la prima volta, come ha più volte sottolineato il Vicario Generale dell’Arcidiocesi di Agrigento, don Giuseppe Cumbo, che questa reliquia ha oltrepassato lo stretto di Messina per essere gioiosamente accolta a Monteroni di Lecce, nella splendida cornice del cinquecentesco Palazzo Ducale, un tempo dimora feudale della nobile famiglia Lopez y Royo. Nel pomeriggio del venerdì l’auto con il prezioso reliquiario ha percorso la storica piazza Falconieri, fino al luogo dell’accoglienza dove uno stuolo di ragazzi lo hanno accolto con un lungo e colorato striscione da loro realizzato per l’occasione. Sorretta dal Vicario dell’arcidiocesi agrigentina, la reliquia è stata solennemente introdotta nell’atrio del Palazzo Ducale, accompagnata dal suono festante della banda cittadina e dalle massime autorità civili, militari e religiose convenute. Presenti anche l’Arcivescovo di Lecce, mons. Michele Seccia e l’Arciprete di Monteroni, don Giuseppe Spedicato, i quali hanno esposto il prezioso reliquiario argenteo contenente la camicia insanguinata del Beato al centro dell’atrio e tutt’intorno i cittadini convenuti insieme con i ragazzi del catechismo della Matrice e una rappresentanza delle quattro Confraternite della città componevano il “comitato di accoglienza”. Non appena la sacra reliquia è stata intronizzata ha preso la parola il sindaco, Mariolina Pizzuto, esordendo col ringraziare coloro che hanno fortemente voluto e reso possibile questo speciale evento per la città di Monteroni e salutando le varie autorità e i cittadini intervenuti con parole davvero sentite e soppesate: “Accogliamo con immenso onore e devozione la reliquia del primo magistrato beato della Chiesa Cattolica, nostro contemporaneo, martire non solo della giustizia ma anche della fede, figura esemplare sia per il mondo cristiano che per quello laico, che con la sua profonda fede e granitica testimonianza ha saputo fermare la criminalità organizzata. Questa significativa opportunità sia per la nostra città un momento di autentica riflessione sulla figura di Rosario Livatino, la cui beatificazione ci rammenta che nel contrasto alle mafie non si fa mai abbastanza e che non si vince solo con la repressione né con la sola risposta punitiva poiché occorre combattere tutti insieme le ingiustizie, favorire i diritti dei cittadini impegnandosi tutti nella formazione dei ragazzi e degli adulti”. Successivamente, accompagnata in un corteo processionale la reliquia ha attraversato alcune vie del centro storico fino in Chiesa Madre dove è stata solennemente intronizzata sull’altare maggiore luogo in cui l’Arcivescovo ha presieduto la solenne concelebrazione eucaristica, insieme con don Giuseppe Cumbo, don Giuseppe Spedicato, don Marco Bottazzo, cappellano militare, don Salvatore Carriero, Rettore della Chiesa Gesù Crocifisso e il diacono don Salvatore Casà, animata dal coro della Matrice e dai gruppi parrocchiali. All’inizio è stata data lettura, dal Parroco don Giuseppe Spedicato, di una lettera pervenuta per l’occasione dall’illustre concittadino card. Marcello Semeraro, Prefetto della Congregazione Cause dei Santi che ha beatificato Rosario Livatino, su mandato di Papa Francesco: “Auspico vivamente che anche nel cuore dei fedeli della nostra Città la testimonianza del beato Rosario Livatino susciti volontà di impegno cristiano magari sulla scia di un’espressione che comunemente, da quanti lo hanno conosciuto, gli è attribuita e cioè che alla fine dell’esistenza, non ci sarà chiesto se siamo stati credenti, ma credibili” e un indirizzo di saluto dello stesso don Giuseppe il quale ha sottolineato le virtù di questo beato e cosa esso rappresenti per la Chiesa e per la società civile poiché egli non è soltanto la voce della Chiesa che grida il suo ‘no’ alla mafia ma anche un valido esempio per tutti coloro che vogliono svolgere una professione così delicata come quella del magistrato ponendosi sub tutela Dei e dimostrando il coraggio di essere cristiani credenti e credibili. “Un vero giusto che ha saputo pienamente conformare il suo stile di vita ai valori della Costituzione e del Vangelo contrapponendosi a quei disvalori promossi dalle varie correnti mafiose, che sin da piccolo nella sua vita ha sempre coltivato le virtù cardinali della prudenza e della giustizia, della fortezza e della temperanza. Esaltate e potenziate nel corso della sua seppur giovane esistenza come teologali della fede, della speranza e della carità, alimentate attraverso la preghiera quotidiana, la meditazione assidua della Parola di Dio e la partecipazione all’Eucaristia”. “Una rara testimonianza di fede autentica quella di questo magistrato – ha rimarcato anche l’Arcivescovo nella sua riflessione omiletica – un martire come non se ne vedevano dai tempi di Caligola e Nerone probabilmente”. Ed ha raccontato di come egli stesso si sia soffermato a fissare intensamente la camicia insanguinata rimanendo colpito soprattutto dalle macchie di sangue presenti sul colletto dell’indumento, “uno spettacolo umanamente terrificante ma che nel contempo ci fa comprendere lavittoria del bene sul male di come costui sia stato capace, con la sua profonda fede a trasformare un’apparente trionfo della malvagità umana in testimonianza di fede, conversione e redenzione per i suoi uccisori che egli ha sinceramente perdonato in punto di morte”.

Dopo la Santa Messa, nell’Oratorio parrocchiale “S. Giovanni Bosco”, si è svolto un convegno molto partecipato dal titolo “Livatino: un giudice come Dio comanda”. Hanno offerto il proprio contributo di riflessione Roberto Tanisi, Presidente del Tribunale di Lecce e Giuseppe Capoccia, magistrato leccese, procuratore della Repubblica di Crotone. Il primo, dopo aver recitato un monologo scritto da lui sulla figura di Livatino ha relazionato su “Il ruolo del giudice in una società che cambia”. Il procuratore Capoccia, invece, è intervenuto su “Livatino, non un eroe ma un santo”. Il secondo giorno, ovvero il sabato, si sono succedute le celebrazioni eucaristiche animate dalle altre comunità parrocchiali della città in segno di comunione ecclesiale. Tanti fedeli anche di altri paesi hanno visitato, sostato e pregato davanti alla reliquia fino alla messa vespertina presieduta da don Beniamino Cirone, assistente ecclesiastico dell’Associazione “Città del Crocifisso”, che nella sua omelia ha creato un bellissimo parallelismo tra la figura del Beato Livatino con quella di Gesù nel Vangelo dell’adultera offrendo spunti di riflessione davvero pregnanti e a tratti inediti, e animata dai gruppi della comunità parrocchiale “Maria SS. Assunta”, alla presenza dei sindaci dei comuni appartenenti all’Associazione, del Prefetto di Lecce, Maria Rosa Trio, del Presidente del Consiglio Regionale, Loredana Capone e del Presidente della Provincia di Lecce, Stefano Minerva. La solenne conclusione è avvenuta la domenica sera con la concelebrazione eucaristica presieduta dall’Arciprete don Giuseppe Spedicato insieme con il Vicario Generale dell’arcidiocesi agrigentina, don Giuseppe Cumbo e del diacono don Salvatore Casà. Durante la sua riflessione omiletica il parroco ha speso parole davvero profonde e dense di significato che sono certamente penetrate nel cuore di ciascuno scuotendone la coscienza: “Il segreto della santità è rimanere nell’amore di Cristo ed è una situazione che si fa drammaticamente evidente nei momenti di crisi, nei momenti in cui essere cristiani non è qualcosa di scontato ma diventa cosa scomoda, schernita, rischiosa, pericolosa. I santi non sono dei predestinati alla santità ma coloro che sono rimasti fedeli fino alla fine e il Beato Livatino nell’amministrare la giustizia non si è limitato a trovare le colpe e punire i colpevoli, ma si è fatto strumento di misericordia, perché gli oppressi fossero riscattati e gli oppressori redenti. Nelle prove e nelle avversità è stato fermo e perseverante, non solo per il suo altissimo senso civico, ma sopratttto per la fiducia incondizionata nel Signore e per il desiderio di seguirlo fedelmente sul cammino della croce. È questo il valore ultimo delle sue estreme parole, dove sentiamo l’eco del lamento di Dio e il pianto del giusto, chela liturgia del Venerdì Santo pone tradizionalmente sulle labbra d Crocifisso, dove non è un rimprovero e neppure una sentenza di condanna, ma un invito sofferto a riflettere sulle proprie azioni, a ripensare la propria vita, a covertirsi. Nella sua vita sembra quasi riecheggiare il motto principale dell’Azione Cattolica, di cui egli fece parte, ovvero preghiera, azione, sacrificio e con esse anche lo studio, essenziale per la coscienza e il discernimento, la preghiera come bussola per l’impegno, l’impegno anche al costo del sacrificio”. E ha concluso auspicando che “la comunità monteronese cogliesse appieno l’opportunità di guardare a questa fulgida testimonianza di vita del giovane magistrato come una voce profetica che spazzi via il proliferare della zizzania maligna dalla Chiesa e dal mondo e che un seme fecondo germogli dalla Parola, nella gioia della fede e del sacramento, fruttificando nell’impegno di una vita coerente a quanto il Signore desidera da ciascuno di noi per scrivere pagine importanti della nostra storia di santità e di amore per il Signore”. Al termine da tutti è stata recitata una speciale preghiera di ringraziamento al Beato Rosario Angelo Livatino, la cui reliquia, che ha profondamente impressionato ed emozionato tutta la comunità, ha intrapreso il viaggio di ritorno ad Agrigento dopo un’ultima ma significativa sosta al Monastero di San Giovanni Evangelista in Lecce, presso le suore Benedettine. Qualcuno ha scritto e asserito che il Beato Rosario Angelo ha riconciliato la comunità religiosa monteronese nonché riconciliato Monteroni con la Magistratura. Ma, come disse qualcuno, va “ai posteri l’ardua sentenza” in quanto solo il tempo lo potrà rivelare, di certo i monteronesi, profondamente grati, di questa santa visita serberanno un felice e imperituro ricordo.