Messa Crismale, il card. Montenegro: “La comunione non è un optional”

Con la Messa crismale, celebrata nella concattedrale Santa Croce di Agrigento, ha avuto inizio il triduo pasquale. Quella crismale è una liturgia ricca di significati, a partire dal fatto che vede tutto il clero riunito attorno al vescovo, insieme ai fedeli laici, manifestando così la Chiesa nella sua multiforme varietà di carismi e vocazioni. Essa è significativa anche perché il vescovo benedice e consacra gli olii santi: il crisma, l’olio dei catecumeni e l’olio degli infermi che al termine della Messa ciascun parroco ritirerà in appositi vasetti e che verranno utilizzati durante l’anno liturgico per i battesimi, le cresime, l’unzione dei malati. Altro tratto distintivo della celebrazione il rinnovo, da parte del presbiteri, delle promesse sacerdotali come segno di unità con il vescovo e di fedeltà verso l’unzione ricevuta. La concelebrazione è stata introdotta da un saluto augurale da parte del vicario generale, mons. Melchiorre Vutera che riportiamo di seguito insieme al testo integrale dell’omelia dell’Arcivescovo, card.Francesco Montenegro

Gli auguri del Vicario Generale, mons. Melchiorre Vutera

Carissimo don Franco,
anche quest’anno per formularle gli auguri, voglio usare un’ immagine: l’immagine del “mandorlo in fiore”, un’immagine molto cara alla nostra terra agrigentina, terra del “mandorlo in fiore”.
Nel libro del profeta Geremia al capitolo 1, 11-12, troviamo scritto: “Geremia che cosa vedi?” Io risposi: “Vedo un ramo di mandorlo”. E il Signore mi disse: “Hai visto bene, poiché io vigilo sulla mia parola per mandarla a effetto”.  Perché il Signore fece notare a Geremia proprio un ramo di mandorlo? Che cosa voleva fargli capire, quale segnale voleva che il suo servo ricevesse, e attraverso di lui, il suo popolo?
L’immagine del mandorlo evoca il risveglio, essendo il primo albero da frutto a fiorire, ed è proprio per questo che era chiamato “albero del risveglio”, perché in Palestina è il primo albero che germoglia e porta frutto. E’l’immagine di chi attende la primavera annunciando che è vicina.
E’ bellissima e significativa questa figura per capire che il Signore stava dicendo a Geremia “io vigilo sulla mia parola per mandarla a effetto”. Come il mandorlo in fiore evoca “il vigilante” nell’attendere e segnalare che la primavera è vicina, così quel ramo di mandorlo stava annunciando che Dio era sveglio e che avrebbe vigilato sul suo popolo per portare tutto questo a compimento, “mandando” colui che è “ La Parola di Dio”.
Cristo Gesù, in forza del sacrificio pasquale, è Colui che è venuto a portare il vero risveglio. Come l’albero fiorito di mandorlo rappresentava la promessa di una vita nuova, così Gesù è promessa di nuova vita, di cammino in novità di vita, di nuova nascita spirituale, di liberazione dal peccato e dal vecchio modo di vivere. In Cristo Gesù l’uomo, come il popolo di Israele, avrebbe avuto la liberazione dalla schiavitù del peccato, e oggi a chiunque invochi il Suo nome, egli porterà risveglio e nuova vita, porterà la primavera, a tanti cuori affaticati e oppressi (Mt. 11,28-29).
L’augurio che formulo a lei, carissimo don Franco, a quest’assemblea nella varietà dei suoi carismi e ministeri, alla nostra chiesa agrigentina è che in Cristo Gesù la nostra vita si risvegli a una santità nuova, alla preghiera, alla testimonianza nella carità, ai frutti dello Spirito.
Come per gustare il frutto della mandorla che è racchiuso dentro un guscio legnoso, però, bisogna rompere l’involucro, così dobbiamo pregare il Signore che ci risvegli, affinché per grazia egli possa rompere quel guscio attorno al nostro cuore, fatto di egoismo, d’invidia, di orgoglio, di maldicenza, di peccato.
“Geremia cosa vedi”? Vedo un ramo di mandorlo!.”
Carissimo don Franco, nella sua ultima lettera pastorale lei ci ha indicato questi “rami di mandorlo”, come “segni” di un nuovo risveglio della nostra chiesa agrigentina. Ci ha detto: “Fratelli continuiamo, con la grazia del Signore, il nostro cammino ecclesiale, ricchi di segnali forti che in questi ultimi anni il Signore ci ha dato”.
Questi segnali forti sono:
1.    La presenza dei fratelli immigrati, che sono “la proposta forte che Dio fa alla nostra Chiesa perché cresca nell’amore e nella fedeltà”.
2.    I problemi con cui dobbiamo confrontarci, fidandoci di Dio e accettando la sfida di guardare vicino e lontano;
3.    La sua chiamata al Sinodo da parte del papa, perché Agrigento uscisse fuori da un confine troppo stretto e si sentisse parte di un mondo più grande;
4.    Il cambiamento di mentalità, non per cambiare “strategia pastorale”, ma per capire che il Signore ci sta chiedendo di fare entrare il mondo nel nostro piccolo mondo. Mettere il Vangelo accanto e dentro ogni realtà che cambia.
5.    Il “cambiamento di rotta”, per un nuovo stile di Chiesa in sintonia con il Vangelo e fedele all’uomo del nostro tempo.
6.    Il “Giubileo”, tempo propizio per riscoprire la gioia vera e sempre nuova del vangelo; per scoprire la Misericordia, come atto personale e comunitario innanzitutto verso la nostra Chiesa agrigentina, e verso il nostro territorio.
7.    E infine terminava dicendo: “Sogno una chiesa capace di uscire, annunciare, abitare, educare e trasfigurare”.
Carissimo don Franco, Le diciamo Grazie per la sua capacità di segnare le tappe importanti del nostro cammino pastorale con le concrete prospettive indicate. Grazie per averci ricordato che “il risveglio”, “la primavera” della nostra Chiesa agrigentina è vicina.
Le confermiamo la forte volontà di tutti – dei sacerdoti (anche quelli assenti per motivi di malattia o per altri impegni), dei diaconi, dei ministri istituiti, dei seminaristi, dei consacrati/e e dei fedeli – di vivere l’entusiasmante esperienza del discepolato cristiano.
Si tratta di un cammino avvincente che ci trova non sempre tutti pronti all’unisono (come in ogni famiglia!), ma che tutti richiama alla serietà del nostro impegno – assunto con l’ordinazione sacerdotale o diaconale o battesimale – di essere fedeli collaboratori e consiglieri del Vescovo nel suo ministero di istruire, santificare e governare il popolo di Dio.  Ci aiuti a mantenere la gioia di essere di Cristo, ci aiuti a seguirlo sulla via della croce e a conservare sempre un cuore giovane e a stare con i giovani che sono il futuro della chiesa.
Le chiediamo di continuare a guidarci con semplicità, di essere vicino a noi e di aiutarci a rimanere sempre sull’essenziale nella nostra vita di preti, diaconi, religiosi, fedeli laici: essere semplicemente servitori fedeli del Signore Gesù e del suo popolo.
Con questo spirito Le auguriamo una buona e santa Pasqua!

L’omelia del card. Francesco Montenegro

L’odierna celebrazione, come sappiamo, ruota attorno alla consacrazione del crisma, olio misto a balsamo, che è segno dell’un­zione di Cristo e della Chiesa. Come il Cristo è stato unto dall’ unzione dello Spirito – così pregheremo tra poco nel prefa­zio – anche noi, unti e uniti a Lui, partecipiamo del Suo sacerdozio e siamo resi conformi a Lui attraverso i sacramenti dell’iniziazione: battesimo, cresima, eucare­stia.

I tre sacramenti, però, oltre che a Lui, ci uniscono anche agli altri battezzati, alla Chiesa, po­polo sacerdotale, profetico e re­gale. Acquisendo così la forma di Cristo noi formiamo il popolo messia­nico. Il Vangelo lo dice anche parlando della vite e dei tralci. Ciò vuol dire essere e fare comunione nella diversità delle nostre funzioni, cercare e sentire la ricchezza e l’armonia di quest’unico corpo, vivere l’accordo, la fraternità, la reciprocità, l’amore anche per chi soffre o pecca.

È vero che i sacramenti dell’iniziazione ci introducono nel popolo dei sal­vati, però ognuno deve averne tale consapevolezza da impegnarsi veramente perché la vita nuova che ci è stata donata ci accomuni tutti e cresca e arrivi sempre a maggiore matu­rità.

È un’avventura che, anche se con modalità diverse, ci coinvolge: Ve­scovo, presbiteri, diaconi, religiosi/e, ministri vari e fedeli laici. Tutti insieme, ripeto insieme, siamo presenza della Trinità nella storia. Paolo spiega questo essere insieme così: “Come in un corpo ci sono più membra e tutte non hanno la stessa funzione, così noi, che siamo molti, siamo tutti uniti a Cristo, e siamo uniti agli altri come parti di un solo corpo” (Rom 12,4-5). Sì, siamo diversi, ognuno con la propria autonomia e libertà, ma siamo “molti in un sol corpo in Cristo” (Rom 12,4). Questo significa che la vita di ogni cristiano e della Chiesa stessa non può non essere plasmata dalla comunione che, perciò, non è un optional ma la realtà costitutiva. Diceva Mons. Bello: “Dobbiamo trovare lo stile della comunione, il gusto della comunione, il puntiglio della comunione”. (Ve lo citerò ancora perché mi sono preparato a questo giorno leggendo e confrontandomi con i suoi insegnamenti)

Certamente, la comu­nione non potrà mai essere completa, perché, fatta da uomini, è fragile, ma nonostante ciò deve es­sere sempre ricercata e voluta. Senz’altro non è un pio desiderio, nè la si può attendere dagli altri, giudicandoli poi se questa manca, perché essa inizia da ciascuno di noi. Giovanni Paolo II ha parlato della necessità di una spiritualità di comunione. Mi chiedo: come mai tanta spiritualità – soprattutto eucaristica – diffusa nelle nostre comunità o nei vari movimenti e aggregazioni, non riesce a portarci a una comune spiritualità di comunione? Dobbiamo ammettere che la nostra è una spiritualità incompleta e incompiuta. Non basta volersi bene per essere comunità! Riferisco le parole di Mons. Bello: “La comunione non nasce dalla necessità di stringere le fila o dall’urgenza di serrare i ranghi per meglio far fronte al mondo che incalza, né da un calcolo aziendale. Insieme, quindi, per essere… Se no, non è Chiesa. Sarà organizzazione del sacro, consorteria di beneficenza, fabbrica del rito, multinazionale della morale. Ma non Chiesa”. Anche Papa Francesco chiede continuamente a tutti di sentire gli altri come fratelli. L’altro, ogni altro, che appartiene alla mia comu­nità o al mio gruppo o a un’altra comunità o un altro gruppo, è dono di Dio, è dono fatto a me per completarmi. Senza l’altro io o la mia parrocchia o il mio gruppo non riusciremo ad essere ciò che Cristo ci chiede. Così gli altri senza me. Come il tassello di un puzzle, l’altro, ogni altro, mi completa, senza gli altri mi manca qualcosa. La Chiesa, la nostra Chiesa agrigentina, non è solo istituzione ma, ricordiamolo, è “mistero di comunione” e comunione non è mettere insieme tante esperienze diverse, anche se interessanti. Mons. Bello diceva che la chiesa, che ha come modello la Trinità, non è l’addizione di uno più uno, più uno, perché se così fosse il risultato sarebbe ogni volta diverso, a secondo del numero. Ma è il risultato di uno per uno per uno, perché così, al di là del numero, il risultato è sempre uno. È la Trinità a volere la Chiesa unico popolo, comunione. Comunione che deve estendersi a tutti gli ambiti della vita e dare una forma a tutte le espressioni in essa esistenti. Dice ancora: “Se non comprendiamo che la Chiesa ha nella Trinità l’origine, il modello e la meta non solo della sua missione ma anche del suo stesso essere, allora tutti i nostri richiami all’”insieme”, all’”unità”, alla “comunione”, sembreranno solo manifestazioni dell’ansia di chi vuol contare di più, incidere di più, produrre di più, apparire di più” (Bello).

Negli Atti degli Apostoli leggiamo che i fedeli erano perseveranti nell’ascolto, nella comunione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere. Il frutto di tale comunione era la carità espressa nella condivisione dei beni, anche materiali. Questo per sottolineare come la comunione esige di mostrarsi esterna­mente e concretamente.

Se questo vale per tutti, vale in modo speciale per noi sacer­doti, che oggi rinnovando le promesse sacerdotali, riandiamo col pensiero all’entusiasmo e ai desideri del primo giorno. Noi non solo siamo propositori di comunione nelle e tra le nostre parrocchie, ma lo siamo egualmente nella costruzione del presbiterio, dono ricevuto assieme all’ordinazione. Vi dico grazie per quanto fate nella e per la Chiesa agrigentina. So bene che il ministero non è facile e non sempre è compreso. Desidero che crediate alla sincerità della mia gratitudine, anche se non sempre, a mo­tivo dei miei limiti personali, riesco a manifestarla come si deve. Di questo vi chiedo, assieme alla pre­ghiera, misericordia e compassione. Il mio compito, unito al vostro, – mi permetto di ricordarlo a me e a voi – è di aiutare questa Chiesa a non rallentare il passo e andare speditamente verso il futuro. Parlando di comunione presbiterale Mons. Bello diceva così: “Convertirsi alla comunione significa trovare spazi per pensare insieme, per progettare insieme, per confrontarsi in­sieme, per correggersi insieme, per pregare in­sieme, per sof­frire insieme, per servire insieme. Significa avere il coraggio di po­sporre molte cose secondarie, fosse anche la gratifica­zione che ci viene dai fedeli, dai giovani, dalle nostre inizia­tive, al biso­gno di condividere con gli altri confratelli gioie, preoccupazioni, speranze, magari anche attorno alla stessa mensa. Significa esorciz­zare il tarlo del discredito reciproco. Significa accogliere i confratelli a braccia aperte, non vederli come rivali, andarli a tro­vare nei momenti difficili, sostenerli nelle difficoltà, accettarli e amarli per quello che sono. Coraggio, fratelli miei”. Con piccoli gesti, ma senz’altro preziosi e necessari, aiutiamoci a dare la giusta luce, io al mio episcopato, voi al vo­stro presbite­rato. Vicinanza, viscere di misericordia, sguardo amore­vole, sentirci famiglia: sono queste le vie per aiutare la nostra gente a sperimentare la bellezza dell’amore di Dio che si fa visibile attra­verso noi suoi ministri e la gioia di una vita vissuta se­condo il Vangelo.

Tra poco benedirò gli oli. Anche questi sono segni/invito di comunione. Il Crisma servirà per voi giovani – vi ringrazio per essere presenti in questa celebrazione – che col sacramento della Confermazione sarete chiamati a vivere nella chiesa da cristiani protagonisti, coraggiosi e misericordiosi. Servirà per i nuovi battezzati, che, piccoli o adulti, saranno accolti e arricchiranno la nostra famiglia cristiana. Servirà per voi tre diaconi, Andrea, Davide e Gianluca, che siete stati chiamati a essere ministri-servi dei fratelli e testimoni dell’amore di Dio. Con l’olio degli infermi quanti sono nella sofferenza riceveranno forza e consolazione. Quanti stanno per entrare nella Chiesa saranno unti con l’olio dei catecumeni perché siano forti nel rispondere alla fede e mettersi dalla parte di Dio. Tutti insieme, – presbiteri, diaconi, consacrati, laici – avvolti e temprati dall’olio, siamo chiamati a essere profumo gradevole che si spande nel mondo, a essere cioè luce, testimoni del suo amore, strumenti di comunione … Il profumo inondi con la sua fragranza non solo le nostre case, ma anche le nostre assemblee, le strade, i luoghi di lavoro, di riposo e di festa. Nella Bibbia l’olio è fonte di luce; con l’olio si prepara il profumo (Am 6,6); l’olio è simbolo dell’amore di Dio (Ct 1,3, Sal 23,5) e della comunione fraterna… (Sal 133,2).

Con il segno dell’olio il Signore ha sempre accompagnato le sue carezze: i sacramenti. L’olio ci da’ l’identità di cristiani, perché, grazie a esso, veniamo “impregnati” di Dio, siamo fatti tempio dello Spirito e siamo chiamati a essere nel mondo Cristificati, continuazione di Cristo, l’Unto del Signore. Scrive Paolo: “Ringrazio Dio, che nel servizio di Cristo, ci fa partecipi sempre del suo trionfo e e per mezzo nostro diffonde ovunque, come un profumo, la conoscenza di Cristo. Siamo infatti come il profumo dell’incenso offerto a Dio da Cristo, e lo siamo tanto per quelli che sono sulla via della salvezza come per quelli che vanno verso la perdizione“. (2 Cor 2,14 )

Mentre ringrazio voi tutti che avete voluto stringere in un grande abbraccio i vostri sacerdoti, vi chiedo di non far mancare mai la vostra preghiera per loro, per il seminario e per me.

Ricordiamo i sacerdoti che ricordano il 10° anniversario di sacerdozio: Trizzino e Vaccaro Notte. Il 25°: Gambino, Lillo Argento, Augello, Scordino. Il 50° il Vescovo Zambito, i sacerdoti Mirrione, Pintacorona, Giammusso, Butera, Ferranti Salvatore e Traina. Il 60°: Serina. Il 65° Guaragna e il 75° Scicolone. Hanno concluso il loro cammino terreno: Castellina, Ferraro, Gallo, Lupo Nicolò, Nicastro, Palillo, Restivo, Li calzi, Castronovo Calogero.

Sentiamoci uniti con la preghiera a quanti per vari motivi non sono con noi. Giunta e Zambito che sono nelle isole e altrove o per motivi di studio o di apostolato. Ricordiamo anche i fratelli della Diocesi di Iringa e dell’Albania

Maria che nel Cenacolo si è fatta compagna e sostegno degli Apostoli ci aiuti a sentire amore per la Chiesa e a essere gioiosi appassionati della comunione.