In memoria di p. Carlo Longo, O.P., da Cammarata

«Saremo giudicati secondo quello che avremo saputo fare nel breve pellegrinaggio terreno; operai della prima ora o dell’undicesima, noi dobbiamo lavorare; e per ciascuno di noi, la vigna del Signore, è il campo d’azione in cui la storia ci situa. Inoltre non abbiamo nessun diritto di fare della nostra vita due parti e di riservarne solo una a Dio. Dio ti esige tutto intero, Lui che ti ha fatto: «totum exigit te, qui fecit te» (S. Agostino).
Sono costretto a prendere in prestito queste parole da un grande storico e teologo del ‘900, H. Irenée Marrou, per due motivi. Innanzi tutto le trovo molto appropriate per descrivere il pellegrinaggio terreno di p. Carlo Longo e secondo, perché invano ho cercato nei suoi scritti qualche spunto che lasciasse trasparire la sua personalità. Nelle sue numerosissime pubblicazioni (cf. il portale Storia Moderna), p. Carlo mai si erge a considerazioni che esulano dall’argomento storico trattato.
Padre Carlo Longo è stato definito da un confratello come un «uomo intelligente ed ebbe uno spirito libero e critico». Ha rappresentato una figura esemplare di sacerdote-domenicano, di parroco-studioso. Entrato nell’Ordine dei Predicatori subito dopo la maturità classica (1968), ha vissuto la sua consacrazione, al servizio di Dio e dell’uomo, in uno stile di vita riservato e discreto, ma ricco di fecondi rapporti umani e d’amicizia. Ha creduto e promosso anche il dialogo ecumenico, soprattutto con la Chiesa Ortodossa.
Mandato a Reggio Calabria per completare la sua formazione, nei primi anni ’70, del secolo scorso, si è pienamente inserito nella «calabresità», diventando, come lui si definiva «riggitanu». Ha guidato la parrocchia San Domenico e operato nel quartiere attorno alla Chiesa Pepe, come «domenicano di strada», guidando nella catechesi e nella crescita umana intere generazioni di giovani in un quartiere «povero e di periferia».
P. Carlo fu anche uno storico e, nel suo vasto campo d’indagine della storia medievale e moderna, ebbe una rinomanza mondiale. Conosceva benissimo le lingue classiche e parlava correntemente le moderne, compreso anche l’arabo. Dopo la Laurea in Storia della Chiesa, conseguito alla Gregoriana, si è dedicato alla ricerca storica e della spiritualità domenicana pubblicando numerose opere e diventando poi Direttore dell’Istituto Storico Domenicano che ha guidato per diversi anni. Numerose le sue presenze, con apprezzate relazioni a convegni nazionali e internazionali. In seguito è stato nominato da papa Giovanni Paolo II «consultore della sacra Congregazione delle Cause dei Santi». Era componente anche della Società di Storia Patria della Calabria.
Infine, a mio parere, per comprendere la sua personalità e, in altri termini, la sua spiritualità, è necessario rivolgerci al modo in cui scriveva. Se è vero che lo stile è l’uomo, è infatti qui, nello stile dello storico, che troviamo il Carlo, operaio della prima ora nella vigna del Signore. Quando scrive di storia, egli cerca dunque di scorgerla, con gli occhi del credente e del domenicano che ha seguito la via apostolica, tracciata secondo il modello dell’umiltà e della fraternità di S. Domenico di Guzman. Ripercorrendo, con dettagliatissimi studi, la vita dell’Ordine Domenicano in ogni dove e negli otto secoli di fondazione, p. Carlo ha mostrato la fecondità dell’apostolato domenicano nella società, che mira a rendere l’uomo cristiano, e quindi più umano, e la Chiesa più idonea alle esigenze della storia.
Tornato il 6 maggio a casa, nella sua Cammarata, per trascorrere un periodo di riposo con la sua amata madre Maria e i familiari, si è addormentato in Cristo il 10 Maggio, a 68 anni. Per lui, si adattano molto bene le parole che San Paolo Apostolo, sul finire della sua vita, ebbe a dire per se stesso: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Non mi resta che la corona che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà» (2 Tm 4,7).

Vincenzo Lombino