Commemorazione dei defunti: card. Montenegro «saremo giudicati sull’amore».

Come da tradizione l’arcivescovo di Agrigento, card. Francesco Montenegro, ha celebrato la messa del mattino, nel giorno che la Chiesa dedica alla Commemorazione dei defunti, nel cimitero “Bonamorone” della città di Agrigento; nel pomeriggio ha celebrato invece la messa nel secondo cimitero cittadino quello di “Piano Gatta”. Pubblichiamo il testo delle omelie dell’arcivescovo pronunciate durante la celebrazione del mattino e del pomeriggio.

Testo pronunciato al cimitero di “Bonamorone”

“Dopo aver celebrato ieri la solennità di tutti i Santi, oggi la Chiesa ci invita a ricordare e a pregare per i nostri fratelli defunti. Per quanti abbiamo conosciuto e ci sono cari, ai quali va il nostro affetto e la nostra gratitudine, e per quanti non abbiamo conosciuto e che nessuno ricorda, penso in questo momento ai molti fratelli immigrati sepolti nei cimiteri della nostra provincia e in Agrigento o a quanti sono coperti dalla sabbia del deserto o sono in fondo al mare, dei quali conosciamo solo la tragedia che li ha colpiti.

Siamo qui per testimoniare la nostra fede nella resurrezione e dire che abbiamo la consapevolezza di essere misteriosamente uniti ai nostri fratelli che godono della visione piena di Dio: la comunione dei santi. Il cristiano, infatti, è colui che crede che la morte in Cristo è stata superata. Questo però non comporta “un effetto camomilla”, di rassegnazione, ma ci dà consapevolezza che in ogni momento moriamo un po’, ma nello stesso tempo ogni giorno nasciamo continuamente.

È vero, il mistero della morte turba tutti. Ogni anno, in questa celebrazione, abbiamo qualcuno in più per cui pregare: genitori, fratelli, sposo, sposa, o più dolorosamente figli.

La Sacra Scrittura ci consola comunicandoci che la morte più che una fine, è una nuova nascita, è il passaggio obbligato attraverso cui possono raggiungere la vita eterna coloro che modellano la loro esistenza terrena secondo le indicazioni della Parola di Dio.

Il cristiano è uno che vive la propria vita alla luce della propria morte. È uno capace di fare delle scelte coraggiose e fuori dall’ordinario perché crede in un Dio capace di nascere in una grotta e di morire su una croce. Il cristiano crede in un Dio che lascia il suo cielo per farsi compagno di cammino di quanti in lui confidano e sperano.

Il ritornello del salmo responsoriale, col quale abbiamo pregato – “Chi spera in te Signore non resta deluso”- è un invito a guardare alla morte con atteggiamento di speranza cristiana, che è ben diversa da quella umana che spesso si colora di dubbi, incertezze e paure sfociando in quel triste detto: “Chi di speranza vive disperato muore”. La speranza cristiana è altro, la speranza cristiana ha un volto; ha un nome; è una persona: Cristo Gesù vincitore della morte e datore di vita.

La morte, a differenza di chi non crede, è per il cristiano seme di vita, certezza che alla fine del suo pellegrinaggio su questa terrà troverà ad attenderlo l’abbraccio di Dio che lo farà essere una sola cosa con Lui.

Immersi in questo clima di speranza cristiana meditiamo quanto il Signore ci ha suggerito attraverso la sua Parola. Nella prima lettura, il profeta Isaia, ci dice che Dio “strapperà …. il velo che copriva la faccia di tutti i popoli. Eliminerà la morte per sempre. Asciugherà le lacrime su ogni volto”.

Sono parole, queste, di profonda consolazione, che ci assicurano che la morte non è la fine di tutto, ma è un passaggio, anche se doloroso. E l’autore del libro della Sapienza ci ricorda che Dio non ha creato la morte perché essa c’è a causa della malvagità del demonio. E Dio l’ha sconfitta per mezzo della morte e resurrezione del suo Figlio Gesù. Questo motivo ci carica di speranza così che con Isaia possiamo dire: “Ecco il nostro Dio; in Lui abbiamo sperato perché ci salvasse . Questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza”.

La certezza che non siamo abbandonati dall’amore e dalla misericordia di Dio, ce la dà anche la seconda lettura in cui Paolo dice che “ quanti sono guidati dallo Spirito di Dio, sono figli di Dio…. Per mezzo di questo Spirito gridiamo: «Abbà, Padre»”. E aggiunge che se siamo figli siamo anche eredi di Dio e coeredi di Cristo.

Dunque il mistero pasquale di Cristo, di morte e resurrezione, in cui siamo stati innestati nel giorno del nostro Battesimo, ci mette in una prospettiva di profonda speranza. Questo è il motivo per cui il cristiano davanti al distacco doloroso che provoca la morte, e nonostante il suo pianto, perché non può abituarsi alla morte sapendo di essere fatto per la vita, continua ad alimentare nel proprio cuore la speranza, certo che il suo destino non è il nulla ma la vita eterna.

Come fare per avere la vita eterna, cioè, come fare per raggiungere i nostri cari; cosa fare per raggiungere il paradiso ovvero il cuore di Dio? È la domanda che ci poniamo tutti. Il Vangelo che abbiamo ascoltato ci ha detto che basta credere nella misericordia di Dio che ci giudicherà. Su cosa? Non sulla religiosità, non sulle preghiere che recitiamo, cose che ci fanno sentire buoni, bravi e qualche volta un po’ bigotti, ma sulle scelte concrete che parlano di amore: “…mi hai dato da bere e da mangiare, mi hai fornito dei vestiti, ti sei preso cura di me, mi hai accolto, ecc…”. Diceva San Giovanni della Croce: “Alla fine della vita saremo giudicati sull’amore”. Il Vangelo ci dice che dobbiamo amare Cristo nel povero, nel carcerato, nell’affamato, nell’immigrato: costoro sono la porta che ci apre al Paradiso.

Dio non ci chiede cose grandi, ma quelle piccole, quelle che possono sembrare insignificanti ma che invece, per Lui, hanno un grande valore. Penso al lavoro silenzioso delle mamme e mogli che spesso passa inosservato anche dagli stessi figli e mariti, penso ai sacrifici dei papà, alle strette di mano, ai bicchieri d’acqua, alle pacche sulle spalle, ai semplici sorrisi che riescono a dare un tono diverso alla giornata di chi ne è stato il destinatario. Sono quei gesti normali della quotidianità per i quali il Signore dice: “Venite, benedetti dal Padre mio

Se è così possiamo dire che il Paradiso comincia già qui, quando cioè siamo caritatevoli con i nostri fratelli, e faremo dell’amore la regola della nostra vita, tenendo anche conto che tali gesti vanno a suffragio delle anime dei nostri defunti.

In questo giorno particolare, a ciascuno di noi, il Signore chiede di vivere bene la nostra vita e di preferire la carità che soccorre le tante povertà vecchie e nuove di tanta gente, cosicché quando saremo davanti a Lui, confidando nella sua Misericordia e nella sua pietà, sentiremo rivolte a noi le sue parole: “Venite benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dall’eternità”.

Preghiamo perciò il Signore di essere segno della sua Misericordia in questa terra e chiediamo per i nostri defunti la pace eterna e la risurrezione nel giorno del giudizio.

 

 

Testo pronunciato al cimitero di “Piano Gatta”

Dopo aver celebrato la solennità di tutti i Santi, oggi la Chiesa ci invita a ricordare e a pregare per i nostri fratelli defunti. Per quanti abbiamo conosciuto e ci sono cari, ai quali va il nostro affetto e la nostra gratitudine, e per quanti non abbiamo conosciuto e che nessuno ricorda, penso in questo momento ai molti fratelli immigrati sepolti in questo cimitero e nei cimiteri della nostra provincia o a quanti sono morti nel deserto o sono annegati nel nostro mare, dei quali conosciamo solo la tragedia che li ha colpiti.
In un giorno come questo il pensiero va alla morte, ma la fede ci invita a farlo senza dimenticare la vita.
Vivere è una linea, per alcuni lunga per altri breve, che unisce la nascita e la morte. I due anelli della catena tenuta ai capi da Dio: sono cioè i due modi diversi di essere in Lui. Vivere in fondo è nascere continuamente e nello stesso tempo morire un po’ alla volta. Nonostante tentiamo di esorcizzare la morte, come se il farlo o non pensarla alleggerisse l’esperienza quotidiana e alleviasse il dolore, essa, vuoi o non vuoi, rimane sempre davanti a noi. Nonostante non ci piaccia, la luce della fede però le dà quel senso che riesce a riempire la vita stessa di senso. La morte, considerata nemica che fa paura, riesce a proiettare luce nel nostro vivere. Se non fosse così, lo stesso nascere, come ha detto Leopardi, sarebbe una cosa funesta e, io aggiungo, se non fosse così la morte sarebbe una tragedia. Anzi tutta la vita sarebbe una disgrazia!
La fede trasforma il nascere e il morire da enigma a mistero: enigma è ciò che è senza soluzione, mistero è possibilità di entrare in qualcosa che c’è ed è più grande. È entrare nel mistero di Dio e rendersi conto che tutto è nelle sue mani. È credere che Egli dirige ogni cosa verso il bene. È credere, appunto, che il mistero della morte è legato a quello della vita. Per cui non possiamo interrogarci sulla morte se non ci interroghiamo sulla vita. Gesù ha detto: “Io vado dove voi, ora, non potete venire. Vado a prepararvi un posto, perché siate anche voi dove sono io” (Gv 14,2-3). A questo punto forse abbiamo bisogno di ricordare che credere non è tanto sapere la dottrina, o come diciamo noi, le cose di Dio, ma avere la certezza che il Dio di Gesù “non è il Dio dei morti, ma dei vivi” (Lc 20,38).
Tutto questo non cancella che la morte non sia una frattura, un allontanamento, una realtà che sconvolge i piani e lascia vuoti difficili spesso da colmare. Una donna ormai prossima alla morte ha dettol: “Ho rivisto tutta la mia vita. Ormai non ha più importanza se davanti a me ci saranno due giorni, venti o duecento, perché ormai sarò sempre con tutti. Sono contenta di aver vissuta la mia vita, così come sono contenta ora di andarmene. Andarsene ad un certo momento è segno di rispetto, di buona educazione e di fiducia verso coloro che rimangono. Abbiamo bisogno di allargare gli orizzonti, anche se questo è sempre una violenza per chi crede di dover rimanere chiuso nel proprio orizzonte”. E salutava chi le stava vicino con queste parole: “Che la tua vita rimanga una luce”.
Ed è incontro alla luce che si va, quando si supera l’uscio di questa vita per arrivare all’altra riva e incontrare le braccia aperte di Dio. Lì ci aspetteremo e ci incontreremo tutti senza differenze, perché là Dio ci attende per la grande festa. La vita è un viaggio verso la felicità eterna tanto è vero che la conclusione del viaggio terreno è paragonato da Gesù a un banchetto nuziale, segno di un amore grande ed eterno, è l’amore. Comprendete perché è importante vivere bene!
Gesù ci guiderà, come ha fatto coi nostri cari, al banchetto della gioia, e ci chiederà di non rifiutarlo, come hanno fatto gli uomini della parabola. Ricordate il re che invitò i suoi amici e si sentì dire di no perchè avevano altre incombenze da portare avanti. Gesù ci invita con amore, – la Croce può farci capire quanto è forte – perché sa quanto sia facile la tentazione di perderci nel labirinto, delle tante occupazioni di questo mondo che, forse senza neppure accorgerci, rallentano, se non addirittura bloccano, il cammino della vita. Ricordate l’invitato che non mise l’abito della festa. Con quell’atteggiamento di indifferenza e non curanza fu lui stesso ad escludersi dal banchetto.
Camminiamo perciò con la speranza del cuore verso il traguardo finale; ce lo chiede Gesù. Quell’incontro sarà così importante da meritare un vestito bello, come avviene quaggiù. La nostra vita sarà buona – riuscita – se alla sua fine ci permetterà di trovarci questo abito bello, se ci libererà dal brutto che c’è in essa. Dio ci aiuta a trasformarla e ci propone una vita da re, ma lo farà se glielo permettiamo.
Ecco perché Paolo parlando della morte dice che morire è essere con Cristo, è essere uniti a Lui stretti da un legame d’amore. E ciò è qualcosa di così grande da fargli dire: ”Siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo ed abitare presso il Signore” (2 Cor 5,8).
Con questi sentimenti viviamo questo giorno particolare che, nonostante sia velato di ricordi e nostalgie, ci fa continuare a guardare il cielo così come abbiamo fatto ieri ricordando i Santi. Questa giornata non solo non offusca la luce del Paradiso che ieri abbiamo ricordato, ma la fa continuare e la fa sentire come come nostra e dei  nostri cari. Preghiamo per loro, preghiamo per noi. Maria ai piedi della croce sia nostra compagna di viaggio.