Periodo Paleocristiano

Il Tempio della Concordia e la Basilica Apostolorum

Nel bios di San Gregorio vescovo di Agrigento, scritto dal monaco Leonzio nell’Vili secolo,vi si narra che Gregorio, sul finire del VI secolo, sotto il pontificato di Gregorio Magno, si sarebbe recato prima a Roma e poi a Costantinopoli per difendersi dall’accusa di condotta amorale. Nel 597, reintegrato nella sua funzione di vescovo, al suo ritorno ad Agrigento, avrebbe deciso di trasferire la cattedrale e l’episcopio nella periferia urbana, abbandonando la sede originaria che era stata profanata dall’usurpatore Leucio. Gregorio avrebbe scelto per la nuova sede un tempio pagano dal quale avrebbe preventivamente scacciato i demoni, in accordo con una procedura attestata nei processi di riconsacrazione in chiave cristiana dei monumenti più antichi.Secondo l’interpretazione corrente della maggior parte degli studiosi, l’edificio a cui fa riferimento il bios sarebbe il tempio della Concordia. Pertanto, la trasformazione del tempio della Concordia in chiesa cristiana, la basilica Apostolorum, è stata generalmente collocata alla fine del VI secolo. Lo studio di A. Carlino sulle strutture murarie del tempio, realizzato durante i recenti lavori di restauro, ha permesso di rileggere le tracce della chiesa paleocristiana, inducendo lo studioso a interpretare alcune strutture annesse come i resti dell’episcopioSi trattava di una chiesa a tre navate ottenute chiudendo gli intercolumni del tempio, forando con arcate le pareti laterali del naos e demolendo il muro divisorio tra quest’ultimo e l’opistodomo. Questa chiesa era orientata a Est ed era preceduta da uno pseudo nartece a cielo aperto ricavato dalla chiusura dello pteron Il presbiterio e l’abside erano nell’area delimitata dai corpi scala ricavati tra pronao e naos La copertura era a salienti e la navata centrale aveva un tetto a capriate di cui si leggono ancora le tracce sui muri del tempio Alcuni piccoli ambienti di difficile interpretazione occupano a Est l’area del pronao e della peristasi orientale. Essi presentano tracce di una divisione in due livelli, mediante un solaio posto a circa 3.5 m di altezza accessibile tramite una porta aperta in corrispondenza di questo piano nelle torri scalarie originarie del tempioSono proprio queste strutture a essere state interpretate dal Carlino come resti dell’episcopio gregoriano Bios di Gregorio di Agrigento. Gregorio, nato da famiglia benestante in un villaggio chiamato Pretorium, sito nei pressi di Agrigento, fu affidato per la sua educazione alla chierisia delll’episcopio di Agrigento. All’età di 18 armi si imbarcò alla volta di Gerusalemme dove si fece monaco. Dopo avere peregrinato nell’Oriente cristiano (Palestina, Siria, Antiochia e Costantinopoli) ritorna a Roma nel monastero di San Saba, dove all’età di 31 armi verme nominato vescovo di Agrigento. Nella città siciliana dovette subire l’invidia di una parte del clero agrigentino che insinuò sul suo conto gravi calunnie sulla sua condotta morale. Rientrato a Roma per subire un processo, languì in carcere per ben due anni fino a quando non si discolpò pubblicamente davanti al Papa prima e all’imperatore di Costantinopoli poi. Durante questo periodo di vacanza della sede episcopale il papa affidò la diocesi ad un vicario, l’arcidiacono Duplo, che verme estromesso da un usurpatore Leucio che si era insediato al suo posto. Per dirimere la questione e porre un freno ai soprusi, il papa, nel 594, mandò ad Agrigento Pietro, vescovo di Triocala. Tuttavia, questo non bastò a sedare gli animi e quando Gregorio nel 597 rientrò ad Agrigento riabilitato e reintegrato nel suo ruolo di primate agrigentino, decise di trasferire la cattedrale nella periferia della città, abbandonando la sede originaria perché profanata da Leucio.

 

 


BASILICA CRISTIANA DEL VALLONE SAN BIAGIO

Lunga m. 9,20 e larga m. 6,15. È absidata e di perfetta struttura degna della migliore tradizione dell’architettura classica akragantina. Costruita al di sopra di una tomba isolata di età precedente, i cui resti vi risultano in parte inglobati. Dentro la cella, in stretto rapporto costruttivo con la piattaforma su cui essa si eleva, sono due ampie tombe, simmetricamente disposte, di sezione trapezoidale: simili, anche se più tarde, a un tipo di tomba che vedremo frequentemente nella necropoli romana a sud della Collina dei Templi. Ne provengono frammenti di un sarcofago marmoreo con scena figurata di un uomo (un barbaro?) combattente, di un tipo che può riportarsi al III secolo d.C., e ceramiche in terra sigillata databili nel IV secolo. La singolare costruzione ebbe certamente due fasi: una più antica, di età costantiniana (primi decenni del IV secolo d.C.); ed altra, con rifacimenti, del secolo successivo. Abbandonata non si sa per quale ragione, il tetto ebbe a crollare nella zona absidale. Sotto il pavimento dell’abside è stato recentemente rinvenuto un ripostiglio di 27 monete che vanno da Costanzo II (323-361 d.C.) a Valentiniano II (quest’ultimo regnante dal 375 al 392 d.C.).

La zona in cui essa si trova non è lontana dalle necropoli greche conosciute del vallone San Biagio. Ma dai sepolcri di queste necropoli si distingue per forme e per età: in fondo, con la sua bella abside, che non ha confronti in Agrigento, deve piuttosto ritenersi una basilicula di evidente tipologia romana. E, insieme con le due tombe costruite nella parte anteriore della navata, è apparentemente – almeno fino ad ora – isolata. Isolamento che è stato spiegato (dal De Miro) vedendo in questa piccola suggestiva cappella funeraria qualche cosa come una memoria martyrum (si ha per altro notizia del martirio subito da due religiosi agrigentini – Peregrino e Libertino, quest’ultimo vescovo della città – durante la persecuzione di Valeriano e Gallieno, circa la metà del III secolo d.C.), sorta in età più tarda sul luogo in cui il loro sacrificio si sarebbe compiuto. Ciò confermerebbe quanto noi scrivemmo al momento della scoperta, allorché pensammo ad una basilichetta paleocristiana, di cui sembrava lecito supporre un interesse per tanti aspetti notevolissimo.Per completezza diremo che, addossata al muro meridionale della cella, e perciò posteriore all’impianto della nostra basilica, è una tomba a cassa in lastroncini di arenaria, con copertura a bauletto in calce e cocciopisto: probabile datazione al V secolo d.C.

 


LA NECROPOLI PALEOCRISTIANA DENTRO VILLA AUREA

Nell’interno del giardino vero e proprio (anch’esso disseminato di fosse rettangolari incavate nella roccia) Catutto Mercurelli negli anni 1940-41 condusse scavi intesi a studiare un numeroso gruppo – ben sei: da A ad F – di ipogei ed altre cose risalenti ai primi tempi cristiani. — Dell’Ipogeo A parleremo fra poco. — Subito ad ovest dell’ingresso ecco l’ipogeo B. Chiaramente ottenuto con la fusione in unico ambiente di due antiche cisterne rettangolari, di un pozzo pure antico comunicante in fondo con quello occidentale, e di un vano espressamente aggiunto. Una scala a gradini intagliata nel vivo della roccia dà accesso al sepolcro, sulle cui pareti sono incavate tombe ad arcoso- lio oppure a mensa. Mancano i loculimentre il fondo è occupato da tombe a fossa e da formae: tipo, quest’ultimo, che sembra appartenere alla più recente fase d’uso dell’ipogeo. — Più ad ovest furono rimesse in luce – sparse nel giardino – alcune cisterne, anch’esse di età greca, varie per forma e per dimensioni: le più del noto tipo a campana; una, di forma allungata e a sezione trapezoidale, conserva parte della copertura e del puteale di attingimento. — Presso l’angolo sud-est della casa del custode, altro interessante Ipogeo (Ipogeo D): vi si accede mediante una larga scala a sei gradini, che partiva da una strada di cui si conservano le profonde carreggiate, ed è fornito di due specie di cripte sottostanti all’ambiente principale, che prende luce da una grande apertura quadrangolare posta al centro del soffitto. — Nell’intercapedine che separa il giardino dalla palazzina sono evidenti i resti sezionati di almeno altre due cisterne a campana, adattate successivamente ad uso sepolcrale, come fanno fede le tombe ad arcosolio scavate nel loro interno. — Lungo l’orlo meridionale del giardino, lì dove esso si affaccia sul pendio che scende al Piano di San Gregorio, può vedersi un buon tratto dell’antica via di arroccamento, an- ch’essa qui e lì occupata da tombe di bassa epoca. — Non è agevole attribuire una precisa cronologia a questi ipogei e ai loro annessi di Villa Aurea (vanno datati al V o non piuttosto, come da taluni si vorrebbe, al VI secolo d.C.?). Secondo recenti ipotesi si potrebbe pensare per essi a sepolture appartenute a nuclei familiari.

 


LE CATACOMBE “FRAGAPANE’’

Si riesca sulla Via dei Templi. A destra, di fronte all’angolo nord-est del giardino, nostri scavi del 1950 misero in luce una vasta area scoperta con tombe cristiane a fossa, spartite da una stradella sepolcrale – se ne esplorò allora un tratto di soli 25 metri – orientata da sud a nord. Altri scavi sono stati fatti nei terreni circostanti in tempi recentissimi. E di questi si parlerà un po’ più innanzi. Per adesso è il caso che la visita si attenga ad altre cose.

La stradella sub divo ora ricordata immette, alla sua estremità meridionale, in un vasto complesso catacombale, ora in parte nascosto sotto la moderna strada. Queste catacombe sono assai interessanti, senza dubbio tra le più notevoli della Sicilia dopo quelle numerose e per altro molto più vaste di Siracusa e dell’altopiano acrense (l’antica Akrai). Il Mercurelli le classificò come Ipogeo A della serie di Villa Aurea. Sono note da vecchie pubblicazioni (i primi scavi risalgono al 1875 ed altri ne furono fatti nel 1900 da Salinas e da chi scrive ancora nel 1950) con il nome di “Grotta di Fragapane” e si attribuivano, almeno in parte, al II secolo d.C.. È vero invece – secondo che hanno ampiamente dimostrato i più recenti studi – che debbono datarsi a un paio di secoli più tardi (saremmo ancora in fase paleocristiana della realtà agrigentina), con parziali ampliamenti o quanto meno frequentazioni di uso funerario fino al V secolo o addirittura alla prima metà del VI. Constano, come tutte le catacombe, di ambulacri, cubicoli e grandi rotonde (queste in numero di quattro), dalle pareti forate da loculi e arcosoli, e con fosse – ora scoperte – sul piano di calpestio dei singoli ambienti. L’insieme, di pianta complessa nello stesso tempo che chiara, è molto suggestivo. La visita è facilitata da un moderno impianto di viabilità su passerelle metalliche e da una discreta illuminazione a lampade fluorescenti. Le rotonde – anche per queste si tratta di antiche cisterne e sili di età greca che i Cristiani adattarono ad uso sepolcrale – prendevano luce da aperture circolari praticate al loro vertice. Molto bella, per vastità e per il numero di sepolcri che contiene, è quella contrassegnata in pianta con il n. III. — Ricca di una doppia serie di grandi sarcofagi, che si vedranno allineati in una profonda nicchia sul lato sud, l’ex cisterna indicata con il n. Vili. — La cisterna n. IX diede, al momento dello scavo del 1950, risultati di particolare interesse.

 


NECROPOLI SUB DIVO ED ALTRI SEPOLCRI IPOGEICI IN ZONE CONTIGUE

20 Scavi di questi ultimi anni hanno notevolmente ampliato quelli già ricordati del 1950. Con essi la Necropoli cristiano-bizantina di Agrigento è finalmente conosciuta in quella che potremmo dire la sua integrità. Abbiamo visto gli arcosoli all’interno delle mura meridionali nel tratto tra i templi di Giunone e della Concordia. Si è parlato degli ipogei nel giardino di Villa Aurea e
delle Catacombe Fragapane. Decine di tombe si sono messe in luce nei terreni a nord e subito ad ovest del Tempio della Concordia. Ne incontreremo altre ai piedi del pendio a nord del Tempio di Tracie. Tutta l’area a monte della Collina dei Templi, da Giunone ad Tracie, ne era di fatto interessata.

Guardiamo da vicino l’area subito fuori dalle Catacombe. Qui sono state scavate ben 130 tombe: 95 ai lati della stradella di cui già facemmo cenno, ed altre 35 un po’ più ad ovest, dove l’impianto della necropoli venne a cancellare ogni traccia di abitazioni preesistenti. Prevale il tipo di tomba a fossa trapezoidale (latino forma) chiusa da lastre di arenaria del luogo. Presenti anche sarcofagi di pietra a pareti lisce. Alcune fosse contenevano più di una deposizione: forse individui – fino a quattro – appartenuti alla stessa famiglia. La suppellettile comprendeva vasellame di vetro e di ceramica: molte lucerne, di tipi noti dal III, dal IV e dal V secolo d.C.: parecchi i frammenti di anfore, per lo più di produzione africana, e numerosissimi i vasi, del tipo fine da mensa o della produzione comune o da cucina, in sigillata africana, databili press’a poco nei medesimi periodi. E monete imperiali diverse, da Tetrico I (fine III- IV secolo d.C.) a Teodosio, con qualche pezzo dei c.d. “minimi”, che ci spinge fino ai tempi delle incursioni vandaliche (circa la metà del V secolo).

Altri numerosi ipogei potranno visitarsi in zone contigue. Un gruppo di quattro a nord delle Catacombe, ai margini della Necropoli sub divo poc’anzi descritta. Di modeste dimensioni – piccole camerette o nicchie poco profonde scavate sulle pareti della roccia – sfruttarono per il loro impianto una preesistente depressione semicircolare. Poco più ad est una tomba isolata. Ancora in gruppo, con disposizione analoga ai precedenti, altri tre ipogei, che seguono a breve distanza nella medesima direzione. A un centinaio di metri a nord- est del Tempio della Concordia il complesso degli ipogei di “Casa Pace”, altra volta conosciuti come “ipogei della latomia del fondo Mirabile”. Si tratta di ben 13 sepolcri (5 camerette sepolcrali di varia grandezza, 5 tombe isolate, 3 veri e propri ipogei), tutte disposte attorno ad un ampio spazio quadrangolare aperto a nord, sulle pareti di una vecchia cava di pietra opportunamente adattata al nuovo uso.

Di particolare interesse la scoperta, fatta nel corso di questi scavi, di due singolari camere semi-ipogeiche, in cui è stato possibile distinguere due fasi di frequentazione: una, paleocristiana, corrispondente all’uso primario dell’ipogeo come monumento sepolcrale; l’altra, medievale, come officina di un vasaio, nelle immediate vicinanze di due fornaci, che hanno restituito tra l’altro un abbondante scarico di materiale ceramico e relative scorie. Il tutto databile ai secoli XI e XII. Fornaci attribuibili a questa età abbiamo già ricordato trattando di Agrigento arabo-normanna, venute in luce nel 1960 in contrada Santa Lucia, a sud del così detto “Rabato”.

 

 


 

Testi estratti da:

Akragas Storia la topografia movimenti gli scavi (Pietro Griffo)

Ceramica, marmi e pietre. Note di archeologia tra Sicilia e Creta (Fabiola Ardizzone LoBue)