Cultura e Comunicazione

34° Livatino, mons. Damiano:“il sangue dei martiri è fermento di cittadini onesti.”

Si è tenuto questa mattina, 21 settembre, il ricordo del giudice beato, Rosario Angelo Livatino nel 34º anniversario dalla barbara uccisione nel 1990. Due i momenti: alle ore 10.30, nella chiesa San Domenico di Canicattì, parrocchia che il Giudice frequentava, la Celebrazione Eucaristica, alla presenza delle massime autorità civili, militari e di fedeli. A presiedere la Celebrazione Eucaristica – nella memoria liturgica di San Matteo, apostolo ed evangelista – l’Arcivescovo, Alessandro Damiano.
A seguire la deposizione delle corone di alloro da parte delle autorità civili, militari, davanti la Stele che ricorda il suo assassinio sulla ex SS640, nel “crescente “Parco Livatino” in contrada Gasena, sulla terra che ha raccolto il sangue del beato Rosario”, ha detto mons. Damiano nell’omelia. Dopo il saluto di Enzo Gallo (“Ass.Amici Giudice Livatino”) e del presidente dell’Anm di Agrigento Manfredi Coffari, don Calogero Morgante, vicario Foraneo di Canicattì, ha portato il saluto dell’Arcivescovo ed ha guidato un breve momento di preghiera (qui).

Che significa fare “memoria”? si è chiesto, durante l’omelia l’Arcivescovo. “La memoria biblica – ha detto – non è pura evocazione del passato, come un volgersi indietro mentale e un perdersi in esso. È piuttosto un’attività spirituale molto ampia. Suppone un passato e un legame tuttora esistente con esso”. Per mons. Damiano essa è il legame con il passato, lo stimolo attuale, la forza operativa che intende trasferire il passato nel presente, nel quale operano i suoi effetti. Il ricordo del passato, ha detto ai presenti, “è desiderio e realtà insieme.

Chiesa San Domenico, Canicattì

La realtà è quella che fonda la mia esistenza presente. Il desiderio è quello di una comunione con il contenuto vitale della realtà passata, perché produca qui e ora i suoi effetti…
Questa celebrazione, il crescente Parco Livatino (vedi) sulla terra che ha raccolto il sangue del beato Rosario, vuole fare «memoria», contrastare la dimenticanza dei nomi – e ogni nome è una storia – non solo di Rosario anche dei tanti caduti per la giustizia, il giudice Saetta e con lui i tanti altri, uomini e donne che a volerli ricordare se ne dimenticherebbe qualcuno.
Ha poi chiesto a tutti di accogliere l’esortazione dell’apostolo Paolo: «comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto … arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo». Ed è dell’uomo Gesù che il Padre si compiace – ha proseguito – , così possiamo dire che «chi segue Cristo l’uomo perfetto si fa anch’egli più uomo».
Alla comunità ecclesiale e a tutti gli uomini e le donne di buona volontà ha affidato il compito di raccogliere l’eredità che il beato Livatino ci ha donato e consegnato.

È l’eredità di chi ha trovato il coraggio della libertà, squarciando il silenzio della connivenza e decidendo di parlare chiaramente, non solo con parole tecniche mutuate dai linguaggi umani, ma soprattutto con la parola del Vangelo.
Il silenzio, il tacere è la prima strategia del male.
«Ce lo insegna la storia della nostra Isola, troppo spesso macchiata di sangue proprio a causa dei silenzi di chi avrebbe dovuto parlare e invece ha taciuto». Ma non ci si può limitare a parlare di mafia senza parlare ai mafiosi; così fece san Giovanni Paolo II il 9 maggio del ’93: «Questi che portano sulle loro coscienze tante vittime umane, devono capire, devono capire che non si permette uccidere innocenti! Dio ha detto una volta: “Non uccidere”: non può uomo, qualsiasi, qualsiasi umana agglomerazione, mafia, non può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio! Qui ci vuole civiltà della vita! Nel nome di questo Cristo, crocifisso e risorto, di questo Cristo che è vita, via verità e vita, lo dico ai responsabili, lo dico ai responsabili: convertitevi! Una volta verrà il giudizio di Dio!»
Se da una parte è necessario prendere le distanze dal silenzio dall’altra occorre dare al discorso sulle mafie un timbro peculiare per evitare di fermarsi alle analisi senza osare strade nuove per vincere il fenomeno con lungimiranza profetica.
Anche oggi è un buon giorno per avviare processi indirizzati a sviluppare una seria azione comune e sistematica di contrasto nei confronti della mafia che ha trovato altre forme, meno appariscenti e per questo più pericolose. E non dimentichiamo che «La mafia sarà vinta da un esercito di maestre elementari» (G. Bufalino).
Anticamente si diceva il sangue dei martiri, seme di nuovi cristiani, oggi possiamo aggiungere il sangue dei martiri è fermento di cittadini onesti”.

Carmelo Petrone (da www.lamicodelpopolo.it)