Livatino e la giustizia «intrisa di Vangelo» (Peregrinatio reliquiae Roma/6)

(foto www.romasette.it)

L’arresto di Matteo Messina Denaro «è un successo dello Stato» ottenuto grazie «al grande sforzo delle forze dell’ordine e delle istituzioni». Un risultato del quale «non possiamo che compiacerci», anche perché evidenzia che «bisogna vivere insieme secondo valori e che la scelta della delinquenza e della mafia è una scelta di schiavitù, sia per chi ne è coinvolto sia per le vittime». Così il segretario di Stato vaticano Pietro Parolin a margine del convegno “​L’attualità del beato Rosario Livatino” svoltosi il 18 gennaio, nella Sala Capitolare del chiostro del Convento di Santa Maria sopra Minerva. Promosso dal Centro Studi Rosario Livatino, l’incontro si inserisce nella prima Peregrinatio romana della reliquia del giudice, organizzata dall’arciconfraternita di Santa Maria Odigitria dei Siciliani. È stato il primicerio padre Renzo Giuliano, parroco di San Marco in Campidoglio, a portare in processione la teca in argento contenente la camicia intrisa del sangue del magistrato. A margine dei lavori, il cardinale Parolin si è soffermato anche sul conflitto in Ucraina dove attualmente non vede «schiarite. Rimane la disponibilità e lo sforzo di pensare a qualcosa che possa sbloccare la situazione – ha affermato – ma non mi pare che oggi ci siano le condizioni. Chi ci va di mezzo sono le persone, questa distruzione a tappeto delle infrastrutture civili è una cosa che non si può neanche spiegare».

Durante il convegno, soffermandosi sulla figura del giudice ucciso 32 anni fa, il cardinale ha sottolineato come per Livatino la fede e l’impegno laicale erano «inscindibili nella teoria e nella prassi, nella consapevolezza che la fede può ben essere “anima” nel modo di amministrare la giustizia, comprovando così la correlazione tra eterno e tempo, fede e giustizia». Per questo è stato assassinato, «per contrastare l’affermazione di una giustizia intrisa di Vangelo e di fede cristiana», ha proseguito il porporato, per il quale «non c’è dubbio alcuno: cosa nostra e le stidde, per quanto abbiano talvolta inteso esibire e mostrare una vistosa devozione a santi e madonne, in realtà continuano nella sostanza a evidenziare una scelta deliberata di negare il cristianesimo, rivelandosi una forma di paganesimo, prona al potere e al denaro anziché all’Altissimo».

Nella Sala Capitolare è stata allestita per l’occasione la mostra “Sub tutela Dei”, aperta al pubblico fino a lunedì 23 gennaio. Ventisei pannelli che ripercorrono la vita, l’impegno e l’assassinio del magistrato. In un messaggio inviato agli organizzatori, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha sottolineato che fare memoria dell’esempio di Livatino «invita tutti a proseguire nella battaglia a difesa della legalità». Il presidente del Senato Ignazio La Russa ha parlato dell’eredità lasciata dal beato, fatta «di grandi valori e forti doveri. Rendergli omaggio significa farsi carico del dovere di tramandare il suo messaggio di fede, fiducia e speranza», ha aggiunto. Sulla riservatezza di Livatino si è soffermato invece il sottosegretario di Stato Alfredo Mantovano, sottolineando che non ha mai rilasciato interviste perché «parlava con i suoi provvedimenti. Quel riserbo è stato per lui il riconoscimento del limite giurisdizionale per cui ci si inserisce in vuoti normativi valicando i propri confini».

All’inizio della sua carriera Rosario Livatino è stato per dieci anni sostituto procuratore al tribunale di Agrigento per poi svolgere le funzioni di giudice nella sezione penale dello stesso tribunale. Con le nuove normative il cambio di funzione non è più possibile, eppure, ha osservato Francesco Lo Voi, procuratore della Repubblica di Roma, si «continua a discutere della separazione delle carriere quando di fatto la questione non esiste più». Dati alla mano, ha detto che nel 2022 in Italia i trasferimenti con cambiamento di funzione sono stati 21 su oltre 9mila magistrati. «Serve davvero continuare a discutere di questo tema? – si è chiesto -. Forse perdiamo un po’ di tempo, ci sarebbe altro di più urgente e di più importante di cui parlare». Il presidente del Centro Studi Rosario Livatino, Mauro Ronco, parlando delle difficoltà del giudicare, ha sottolineato che «il giudice come rappresentante della società, mentre giudica, ed eventualmente punisce, deve serbare fiducia, come ha fatto Livatino, per non contraddire le ragioni etiche della punizione né l’idoneità rieducativa del processo e della pena stessa».

di Roberta Pumpo (romasette.it)