La vita di Livatino, modello di «fede concreta» (Peregrinatio reliquiae Roma/5)

(ph. www.romasette.it)

Una processione silenziosa e composta, formata da studenti e fedeli, ha accolto la reliquia del beato Rosario Livatino, arrivata ieri il  17 gennaio, nella parrocchia di San Tommaso Moro, a pochi passi dalla Sapienza. Una delle tante tappe che stanno caratterizzando la prima Peregrinatio a Roma della camicia insanguinata del giudice beato. «Il modello che ci propone Rosario è quello giusto per aspirare, e instradare i nostri figli, i nostri nipoti, verso la via della giustizia e del bene comune», le parole del parroco don Andrea Lonardo, parroco di San Tommaso Moro, che ha presieduto la Messa, dopo un momento di raccoglimento. «Il sangue della sua camicia – ha spiegato – interroga tutti e ci dimostra la grandezza di Dio nel suo martirio», nonostante il male che si insinua nella nostra società come accade con la mafia. «Livatino è stato un esempio di fede concreta perché ha passato la sua vita, seppur breve, a cercare prove per la giustizia. Non avendo paura di portarla alla luce».

Una figura, la sua, immersa non solo nella legge ma anche nel mondo dei giovani, dai quali è visto come un esempio. Come nel caso di Lucia, studentessa di Giurisprudenza della Sapienza, 21 anni : «Ho letto di Livatino – racconta – ma vedere la sua camicia mi ha commosso, perché ho pensato che prima ancora di essere beato è stato anche lui uno studente». Oppure di Ivan, 23 anni, studente di Comunicazione sempre alla Sapienza. «Oggi si parla della vittoria dello Stato per l’arresto di Mattia Messina Denaro – spiega – e credo che noi giovani abbiamo tanto bisogno di esempi postivi come Livatino». Un esempio, però, non inarrivabile, come ha più volte ribadito sempre don Lonardo, anche e soprattutto alla luce dell’attualità. E gli studenti sembrano aver accolto fin da subito questo invito: «Anche i carabinieri che hanno indagato e arrestato Denaro sono un esempio», afferma Gerardo, un altro studente di Legge, a Roma Tre, originario della Campania. «Chiunque si batta contro le mafie – aggiunge -, come Livatino o tanti altri, quotidianamente, è un modello da seguire».

Dopo la celebrazione la storia di Livatino è stata raccontata da monsignor Baldo Reina, vicegerente della diocesi di Roma, e da Filippo Vari, docente di Diritto costituzionale e vicepresidente del Centro Studi Rosario Livatino. «Da agrigentino non nascondo una certa emozione. Era per noi una speranza e potete immaginare cosa significò perderlo», ha ricordato Reina, che ha poi citato l’incontro di Giovanni Paolo II con i genitori di Livatino. Secondo Reina, «il dramma della madre scosse il Papa che poi, dalla Valle dei Templi, lanciò il famoso anatema contro la mafia». Il presule ha poi posto l’accento sul sacrificio di Livatino, «martire della giustizia e indirettamente della fede». Indirettamente perché, ha spiegato, «ha portato nel suo coraggio di giudice il suo essere cristiano». Vari, invece, ha sottolineato che «dalla vita di Rosario possiamo prendere l’esempio per portare il cristianesimo nel mondo giudiziario». Per il docente, «il giudice ragazzino ha incarnato il Concilio Vaticano II, ovvero il compito dei laici nel trattare le questioni temporali e terrene in modo che siano una lode verso il Cielo».

di Roberta Pumpo (romasette.it)