La camicia intrisa di sangue del giudice Livatino «diventi la nostra» (Peregrinatio reliquiae Roma/3)

La “peregrinatio” della reliquia del beato Rosario Livatino a Roma «possa scuotere tutti portando ognuno a un’assunzione di responsabilità». Che la camicia impregnata del sangue del primo magistrato proclamato beato nella storia della Chiesa, ucciso il 21 settembre 1990, «diventi la nostra, non intrisa di sangue ma di impegno serio, di sudore, perché l’esempio del giudice Livatino non risulti vano e non sia visto come inaccessibile e inarrivabile. Cresciamo nell’impegno civile e religioso per costruire una città migliore dove giustizia, verità e pace possano regnare». È il monito lanciato dal vicegerente di Roma Baldassare Reina, che sabato 14 gennaio, nella chiesa di Santa Maria Odigitria dei Siciliani, ha presieduto la Passio Martyris, prima solenne celebrazione della Peregrinatio Beati Rosarii Livatino – Fidei et Justitiae Martyris. Un momento di preghiera «particolarmente emozionante» per il presule, anch’egli agrigentino come il magistrato assassinato 32 anni fa. Ma ancora oggi, come allora, «ci sono delle logiche malavitose da contrastare – ha affermato -; ancora oggi c’è un fenomeno corruttivo che fa paura». Per arginare il male che dilaga c’è bisogno «di un impegno corale» perché «non possiamo far finta di nulla – le parole del vicegerente -, non possiamo girarci dall’altra parte pensando che il problema appartenga ad altri. Se tutti abbassiamo la testa il male continuerà a diffondersi e difficilmente vedremo una stagione migliore di quella che stiamo vivendo».

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Durante la celebrazione sono state intonate le litanie dei santi, la maggior parte dei quali siciliani. A tal proposito il vescovo ha sottolineato quanto sia «misterioso questo intreccio tra il mistero del male e dell’iniquità e il coraggio di tanti uomini e donne che hanno dato la vita per il Vangelo», come il beato padre Pino Puglisi, prima vittima di mafia riconosciuta martire dalla Chiesa. La Sicilia, come altre regioni del sud Italia, è una terra «abitata da santi che con grande coraggio hanno testimoniato il Vangelo – ha aggiunto Reina -, eppure è una terra penalizzata da logiche del male, come se ci fosse una radice profonda che fa fatica a essere neutralizzata».

La camicia che il magistrato indossava il giorno del suo omicidio è custodita in un prezioso reliquiario in argento sormontato da una croce e con incise le lettere S. T. D. – Sub Tutela Dei -, sigla che il giudice poneva in calce ai suoi appunti. Alla base della teca, il codice penale e il Vangelo. Il reliquiario è giunto da Agrigento a Roma la sera di venerdì 13 gennaio ed è stato accolto in forma strettamente privata dal vescovo ausiliare Daniele Libanori nella basilica di San Marco al Campidoglio. Sabato pomeriggio la peregrinatio, organizzata dall’arciconfraternita di Santa Maria Odigitria dei Siciliani, ha fatto tappa nella Sala del Carroccio in Campidoglio, dove ad attenderla c’era il consigliere comunale Mariano Angelucci, il quale ha evidenziato che «​la reliquia non è solo la camicia che il giudice indossava quando è stato assassinato ma è il simbolo della giustizia e della battaglia alla mafia. A distanza di 32 anni è nostro compito portare avanti la missione in suo nome e nel nome di tutte le vittime della criminalità organizzata. Il nostro obiettivo non è solo far conoscere la storia di Rosario Livatino ma anche celebrare la sua esemplarità, come uomo, come credente e come magistrato, far sì che la sua storia sia da esempio».

Quindi il trasferimento a Santa Maria in Odigitria dei Siciliani, dove è rimasta per tutta la domenica. Alla celebrazione ha partecipato anche il sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri Alfredo Mantovano, che ha ricordato come i «provvedimenti di Livatino fossero sempre perfetti sul piano giuridico, rispettosi delle persone che aveva difronte, anche se si trattava del capo della mafia locale. La camicia ancora intrisa del suo sangue testimonia quale costo umano talora richieda amministrare la giustizia con verità e come si debba guardare anche all’esercizio della giustizia degli uomini come a qualcosa di sacro».

di Roberta Pumpo (www.romasette.it)