Natale del Signore: il messaggio dell’Arcivescovo Alessandro
Fratelli e sorelle,
è tradizione scambiarsi, tutti gli anni e ogni anno, gli auguri in occasione del Natale e dell’arrivo dell’anno nuovo. Eppure, ciascun anno è diverso dall’altro. Quest’anno, ahimè, gli auguri di un “buon Natale” si tingono di striature di nero e di rosso. Il nero della morte e il rosso del tanto sangue versato negli ormai, purtroppo, diversi conflitti che hanno preso domicilio nel nostro mondo. Potremmo far nostre, oggi più che mai, le tre domande che già il filosofo Immanuel Kant nel XVIII sec. si poneva: «che cosa posso sapere? che cosa devo fare? che cosa ho diritto di sperare?». In che modo, dunque, possiamo e dobbiamo essere “tessitori di speranza” in questo frangente storico, in questo Natale 2024 nel quale inizia l’Anno Giubilare che, come leitmotiv, ha «la speranza che non delude” (Rm 5,5)?
In quanto cristiani troviamo delle risposte nella vita e negli scritti dei santi, ossia di quei “giganti della speranza” che ci hanno preceduto. San Bernardo di Chiaravalle, per esempio, scriveva nel XII sec.: «E allora (nel momento dell’incarnazione del Figlio di Dio) il pensiero di pace si calò nell’opera di pace: “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14) … Se egli non fosse venuto in mezzo a noi, che idea si sarebbe potuto fare di Dio l’uomo, se non quella di un idolo, frutto di fantasia» (cf. Liturgia delle ore, vol. IV, seconda lettura della memoria della Beata Vergine Maria del Rosario). L’incarnazione del Figlio di Dio, ci ricorda san Bernardo, è opera di pace (tra Dio e noi e fra di noi) perché è il Dio che è pace che si incarna, che scende e discende fino a noi. Se Dio non si fosse manifestato e non si fosse rivelato nell’incarnazione del Figlio, noi ci saremmo fatti un’idea falsa di lui. Ovvero: avremmo proiettato su Dio i nostri conflitti, le nostre guerre, i nostri litigi e avremmo fatto di lui il garante della guerra, anzi un Dio guerriero, un Dio che è guerra. Ma non è così: il bambino Gesù che nasce a Betlemme è colui che muore su una croce per svelarci che Dio non uccide, che Dio è la “non violenza”, che Dio è pacifico, che Dio è la pace.
Mariano Rossi, La Madonna della Luce olio su tela, XVIII secolo. Sciacca. Museo Diocesano Mariano Rossi, La Madonna della Luce olio su tela, XVIII secolo. Sciacca. Museo Diocesano
La Chiesa canta nel responsorio al testo patristico dell’Ufficio delle letture del giorno di Natale: «Oggi la pace vera scende per noi dal cielo». Cristo è la pace vera che scende dal cielo, la pace che può risanare davvero il nostro mondo dai conflitti e dalle guerre. Ma in che senso la sua pace è vera? Perché è una pace fondata non sul fragile e cangiante equilibrio degli armamenti delle nazioni o su equilibrismi politici di parte, ma sull’amore gratuito e sul perdono; veri fondamenti su i quali solamente può innalzarsi l’edificio della pace.
«Invito tutti a metterci seriamente in questione su come stiamo contribuendo — ciascuno nel proprio stato e nella propria condizione — a trasformare i “segni dei tempi” in “segni di speranza”, a partire da quelli più evidenti che Papa Francesco ci indica nella Spes non confundit (nn. 8-15) per finire a quelli più nascosti di cui il nostro territorio è pieno, domandandoci se stiamo sostenendo ovvero ostacolando questa trasformazione.
Nella misura in cui il Giubileo favorirà la crescita del Regno di Dio in noi, potremo diventare uomini nuovi e donne nuove, capaci di rendere migliore la storia che condividiamo e fecondi i rapporti che ci legano».
Fratelli e sorelle, che sia davvero per tutti e per ciascuno un Natale di pace e si speranza. Quella pace e quella speranza che è una persona: Gesù il Cristo, il figlio di Dio incarnato, il primo e il più grande “tessitore di speranza” per tutte le donne e per tutti gli uomini del nostro mondo.
Auguro dunque a tutti, nessuno escluso, un sereno Natale, un Natale di pace, un Natale di speranza!