1. LINEE-GUIDA
Le indicazioni della Lettera Pastorale dell’Arcivescovo
A conclusione di un intenso percorso di ascolto comunitario e discernimento ecclesiale, la Lettera Pastorale dell’Arcivescovo ci suggerisce quattro piste pastorali, che si possono così sintetizzare:
1. La città e la strada
Occorre una conversione pastorale che ci porti ad acquisire una maggiore capacità di attraversare e abitare il territorio e le sue periferie. Questi devono diventare i criteri principiali del discernimento ecclesiale e i luoghi privilegiati dell’azione pastorale, per passare dalla prospettiva della Chiesa come via dell’uomo a quella dell’uomo come via della Chiesa. Un cristianesimo distaccato dalle questioni sociali del proprio contesto vitale e lontano dalle tensioni culturali del proprio tempo rischia di perdere il carattere storico dell’incarnazione e il risvolto pratico della fede.
2. L’interesse di Gesù e la superficialità dei suoi
Occorre un discernimento pastorale che ci aiuti a ripensare le priorità dell’agire ecclesiale. Se resta indiscusso il primato dell’ascolto e dell’annuncio della Parola di Dio, non può restare disatteso l’interesse che Gesù stesso manifesta per la persona rimasta al di fuori di questo ascolto e di questo annuncio. Quanto più questo interesse viene a mancare, tanto più cresce in noi una sorta di “miopia” che ci impedisce di focalizzare l’attenzione sulla Parola che ascoltiamo e annunciamo. La prima preoccupazione della comunità cristiana deve essere la prossimità, per recuperare la dimensione personale dell’evangelizzazione. Un cristianesimo di massa non è possibile di fatto, per via delle mutate condizioni socio-culturali, né può esserlo per principio, data la priorità della persona rispetto alla folla.
3. Coraggio! Alzati, ti chiama!
Occorre un impegno pastorale che ci renda testimoni della Pasqua del Signore e operatori di risurrezione nelle situazioni concrete dell’esistenza. L’annuncio del Vangelo non può restare teoria astratta né può collocarsi al di fuori della vita delle persone a cui si rivolge. L’incontro e la relazione, la compassione e la carità devono diventare, pertanto, i luoghi reali e concreti del primo annuncio. Per questo le parole che i discepoli e la folla rivolgono al cieco nell’episodio indicato dal Vescovo come icona evangelica di riferimento di questo Piano Pastorale ne costituiscono il tema portante. Un cristianesimo senza la forza della risurrezione e senza parole che abbiano il «sapore della Pasqua» rischia di restare arido e sterile.
4. Dopo l’esperienza della salvezza, ancora la strada
Occorre una sfida pastorale che ci metta tutti nelle condizioni di diventare evangelizzatori. La gioia di annunciare il Vangelo deve essere la conseguenza logica di un’esistenza che si è lasciata raggiungere dalla forza trasformatrice della Pasqua e non può trattenere per sé il dono che ha ricevuto. L’incontro con il Signore risorto deve trasformarsi nella sequela di un Dio che non si stanca di attraversare le nostre strade per impiantarvi il suo Regno. E questa capacità di sequela deve fecondare il discepolato e animare l’apostolato, che edificano la Chiesa e fecondano la storia. Un cristianesimo che delega soltanto ad alcuni l’impegno della testimonianza rinuncia di fatto alla carica profetica dell’intero popolo di Dio.
Il percorso già tracciato e avviato
Le piste suggerite dalla Lettera Pastorale dell’Arcivescovo ci collocano ulteriormente in continuità con il percorso ecclesiale già tracciato e avviato. Né potrebbe essere diversamente, perché – se è vero che «la Chiesa non si organizza ma si genera» (mons. Del Monte) – non si tratta di inventare ogni volta nuovi programmi e nuove strategie, ma di rimetterci in ascolto e in discussione per proseguire un cammino che lo Spirito Santo conduce attraverso le intuizioni che ispira e i carismi e i ministeri che suscita.
Attraverso questo Piano Pastorale, pertanto, la Chiesa Agrigentina intende continuare a realizzare il profondo rinnovamento ecclesiale auspicato durante l’Anno dell’Ascolto (2008-2009) e già avviato attraverso il quadriennio dedicato ai valori della comunione, missione e formazione (2009-2013) e l’anno-cuscinetto riservato all’acquisizione di uno stile permanente di evangelizzazione attenta alla cura dell’altro e finalizzata a un riscatto integrale dell’uomo e della sua storia (2013-2014).
In particolare, come suggerisce l’Arcivescovo nella Lettera Pastorale, intende programmare il proprio agire pastorale:
- alla luce dell’Esortazione Apostolica post-sinodale Evangelii Gaudium del Santo Padre Francesco;
- in sintonia con le indicazioni della Conferenza Episcopale Italiana sulla nuova evangelizzazione nello spirito e nello stile del catecumenato (a partire dal recente documento Incontriamo Gesù, che si inserisce nel contesto tracciato dagli Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020 Educare alle vita buona del Vangelo);
- con la prospettiva di un nuovo umanesimo incentrato su Cristo, secondo il tema del prossimo Convegno Ecclesiale Nazionale che si terrà a Firenze dal 9 al 13 novembre 2015.
Ciò comporta l’assunzione di due acquisizioni, già emerse in questi anni, su cui adesso occorre scommettere e investire a livello ecclesiale e condiviso:
- l’ispirazione catecumenale, non come modello da adottare ma come stile da assumere;
- una maggiore consapevolezza delle tensioni culturali e sociali in cui si colloca il percorso della Chiesa e quello delle nostre Comunità.
L’ispirazione catecumenale come stile
Assumere lo spirito del catecumenato come stile significa recuperare alcune intuizioni che forse – almeno in parte – abbiamo disatteso.
Lo stile catecumenale ci insegna innanzitutto a distinguere il primo annuncio e la catechesi e, nello stesso tempo, a considerarli nella loro complementarità e circolarità. Non si può pretendere di catechizzare persone che non sono state prima evangelizzate, così come non si può ridurre la catechesi allo studio del mistero cristiano – come dottrina e come sistema morale – senza suscitare e favorire continuamente l’incontro personale con Cristo. Se molte proposte pastorali (“corsi” pre-matrimoniali e pre-battesimali, “preparazioni” dei bambini e dei ragazzi ai sacramenti, incontri con i genitori dei bambini del “catechismo”, ecc.) non riescono a coinvolgere gli interessati e sono vissute come imposizioni indebite, forse è proprio perché tentiamo di dare risposte preconfezionate a domande che non sono state poste o non sono state adeguatamente formulate.
Da questa prima acquisizione deriva anche la consapevolezza che sia il primo annuncio sia la catechesi non possono essere intesi primariamente come preparazione alla celebrazione dei sacramenti (sia per i bambini e gli adolescenti in vista del completamento dell’iniziazione cristiana, sia per gli adulti in vista del matrimonio e del battesimo dei figli), ma come introduzione e accompagnamento nella fede, in cui i sacramenti hanno certamente un posto di rilievo, ma sempre in funzione della vita cristiana e dell’esperienza comunitaria.
Dallo spirito del catecumenato apprendiamo, ancora, la gradualità dell’annuncio e dell’approfondimento della fede, che non si possono restringere a dei tempi stabiliti e più o meno brevi per ottenere un nulla osta alla celebrazione dei sacramenti, ma devono essere scanditi da tappe e consegne e devono a loro volta scandire le varie fasi della vita personale, familiare e comunitaria, in una visione sacramentale dell’esistenza.
Apprendiamo, inoltre e di conseguenza, che la “formazione” cristiana – nel senso dell’assunzione progressiva della forma di Cristo – non può riguardare soltanto l’aspetto intellettuale, ma deve riuscire a coniugare cammino di fede e percorsi di vita, attraverso la partecipazione all’assemblea liturgica, l’esperienza della comunione fraterna, l’esercizio della carità e l’impegno della testimonianza.
Le sfide dell’attuale contesto socio-culturale
Insieme alle intuizioni derivanti dallo spirito del catecumenato, occorre prendere coscienza delle tensioni che animano l’attuale contesto socio-culturale, per evitare i rischi di parlare un linguaggio diverso da quello delle persone a cui ci si rivolge, di non rispondere o non rispondere adeguatamente alle loro esigenze e di proporre itinerari di fede distanti dai loro percorsi di vita.
Come i documenti del Magistero ribadiscono ormai da tempo, è in atto una svolta epocale di enormi dimensioni, che sta cambiando sensibilmente il nostro modo di pensare e di vivere e, conseguentemente, il senso e la direzione dello stesso agire pastorale della Chiesa.
L’epoca contemporanea – denominata post-moderna a motivo della perdita delle certezze che hanno caratterizzato quella precedente – sta dando vita a una società sempre più “complessa” e sempre più disorientata. Il pluralismo etnico, culturale e religioso, se, da un lato, costituisce una grande ricchezza, dall’altro, moltiplica i punti di riferimento e mette in discussione il senso di appartenenza. Di conseguenza, l’identità della cultura occidentale – e, al suo interno, quella cristiana – appare sempre più compromessa e destabilizzata.
Anche tra i cosiddetti “cristiani praticanti” è difficile trovare un’adesione piena alla fede e alle sue esigenze, mentre si moltiplicano le rivendicazioni di autonomia su ciò che bisogna credere e fare per sentirsi cristiani. Tra i battezzati e i non battezzati, inoltre, si va diffondendo una vaga ricerca del sacro, in cui elementi tipicamente cristiani si confondono con elementi di altre esperienze religiose.
L’insieme di tali tensioni sociali e culturali, che in questi ultimi decenni si vanno moltiplicando vertiginosamente, sta mettendo in seria crisi la Cristianità, ossia la forma storica che il Cristianesimo ha assunto nella sua storia bimillenaria. Ma tutto questo, anziché scoraggiarci, deve essere vissuto come un’occasione provvidenziale per passare da una religiosità formale e spesso legata alle consuetudini a una fede più autentica, abbracciata liberamente e consapevolmente.
In particolare, secondo le indicazioni del Magistero ecclesiale, occorre valorizzare la posizione non più centrale ma periferica della Chiesa, che consente una presenza diffusa negli ambiti più ordinari della vita. Occorre altresì passare dal livello delle strutture al piano delle coscienze e ripartire dalle domande di senso che l’attuale contesto socio-culturale genera ma a cui non sa dare risposte adeguate.