Organismi di comunione e partecipazione

A. La natura comunionale e la costituzione gerarchica della Chiesa

1. Il Consiglio Pastorale trova la sua ragion d’essere e la sua specifica configurazione nella natura e nella missione universale della Chiesa, intesa quale popolo regale, profetico e sacerdotale, convocato e costituito da Dio per essere sacramento – ossia segno e strumento – di salvezza per il mondo.

2. Questo popolo è caratterizzato dalla fondamentale unità di tutti coloro che, in forza del battesimo, sono costituiti “fedeli” e incorporati a Cristo nel suo corpo mistico che è, appunto, la Chiesa. L’unità dei fedeli nella Chiesa, tuttavia, non si deve intendere come un tutto monolitico e indifferenziato, bensì come una realtà organica e strutturata, che si manifesta nella relazione costitutiva tra il capo e le membra di un unico corpo, si attua nella diversità funzionale dei carismi e ministeri suscitati dal medesimo Spirito e si configura nella speciale fisionomia della comunione gerarchica.

3. Nella Chiesa, pertanto, tutti i fedeli hanno la stessa dignità e sono chiamati – ciascuno in relazione alla propria vocazione, alla propria condizione, al proprio stato di vita e alla propria funzione specifica – a costruire il Regno di Dio nella storia. Alcuni, configurati mediante i tre gradi dell’ordine sacro a Cristo-Capo, sono costituiti pastori e sono chiamati a esercitare il sacerdozio ministeriale, espletando la triplice funzione di guidare, insegnare e santificare in favore dell’intero popolo di Dio e a servizio del sacerdozio comune di tutti i battezzati. Altri, configurati mediante una speciale consacrazione, sono chiamati a edificare il corpo ecclesiale con la professione dei consigli evangelici negli istituti o nelle società di vita contemplativa o apostolica. Altri ancora, con la specificità del carattere secolare, sono chiamati ad animare l’unico popolo di Dio amministrando le cose temporali nelle condizioni ordinarie della vita familiare e sociale. I tre stati di vita – pastori, religiosi e laici – costituiscono così la fisionomia propria della Chiesa: comunionale, per via dell’unica dignità battesimale e della medesima appartenenza ecclesiale; gerarchica, a motivo della reciproca relazione ontologica e funzionale.

4. Con questa speciale configurazione, tutti i fedeli, in maniera complementare e corresponsabile, hanno il diritto e il dovere di partecipare attivamente alla vita e alla missione della Chiesa, per realizzare la vocazione universale alla santità, contribuire allo sviluppo integrale della persona e della società ed estendere a tutti gli uomini e a tutte le realtà umane il progetto salvifico del Padre, rivelato e compiuto in Cristo nella potenza dello Spirito Santo.

5. Per compiere questa missione, la Chiesa – comunità spirituale e società gerarchicamente organizzata – deve calarsi nelle forme storiche e concrete dell’esistenza umana. Essa sussiste, pertanto, nelle Chiese particolari (le diocesi), affidate alla cura pastorale dei vescovi, successori degli apostoli nel Collegio Episcopale, in comunione con il Romano Pontefice. Le Chiese particolari, a loro volta, sono costituite dalle Comunità locali (le parrocchie), affidate alla cura pastorale dei parroci, stretti collaboratori dei vescovi insieme agli altri presbiteri e diaconi che vivono e operano nel territorio diocesano e parrocchiale. Una nuova sfida per questo sforzo di incarnazione rappresentano, in particolare, le Unità Pastorali, forme speciali di comunione fra più parrocchie che insistono in uno stesso territorio e che spesso, anche per esigenze funzionali, sono affidate alla cura di un unico parroco. All’interno delle Chiese particolari e delle Comunità locali così costituite la comunione e la sinergia dei fedeli (pastori, religiosi e laici), l’esercizio della ministerialità (ministeri ordinati, istituiti e di fatto) e la molteplicità dei carismi e dei doni (dei singoli e delle aggregazioni laicali) confluiscono nella vita liturgica, catechetica, caritativa e missionaria, che costituiscono i luoghi propri dell’esperienza, della celebrazione e della trasmissione della fede.

6. Data la natura comunionale e la costituzione gerarchica della Chiesa, le varie realtà ecclesiali, che trovano forme e modalità proprie di vita e di azione nei diversi livelli del territorio diocesano, non si devono considerare come strutture organizzative ed esecutive, bensì come organismi vivi nei quali il progetto salvifico di Dio sull’umanità incontra la storia concreta degli uomini che vivono in un luogo e in un tempo determinati e la trasforma in storia di salvezza.

7. In tal modo si realizza la sacramentalità della Chiesa, ossia il suo essere segno tangibile e strumento efficace di salvezza per il mondo, di cui la prassi sacramentale costituisce una dimensione – certamente privilegiata, ma non esclusiva – da integrare in una visione più matura e completa, capace di rendere l’intera esistenza un culto “logico”, santo e gradito a Dio (cf. Rm 12, 1).

B. La ragion d’essere e la configurazione del Consiglio Pastorale

8. Tra gli organismi ecclesiali nei quali si realizza la sacramentalità della Chiesa mediante la comunione, la partecipazione e la corresponsabilità dei pastori, dei religiosi e dei laici, occupa un posto privilegiato il Consiglio Pastorale. In esso l’intera comunità è rappresentata nell’unità della fede e nella varietà dei carismi, doni e ministeri, non per un semplice fatto di delega né per una mera istanza organizzativa, bensì per un esercizio organico di ecclesialità, che si compie attraverso la mediazione, il discernimento e la decisione.

9. La rappresentatività del Consiglio Pastorale ha innanzitutto una funzione di mediazione, non nel senso che i membri del Consiglio agiscono per delega sindacale di coloro che rappresentano, ma perché mediano le istanze di tutta la comunità locale e il sensus fidei di cui l’intero popolo di Dio è depositario, in ordine ai percorsi pastorali da compiere in comunione con il Vescovo e in attuazione del Piano Pastorale Diocesano.

10. Se è vero, infatti, che – a motivo della costituzione gerarchica della Chiesa – il momento decisionale è affidato al ministero del vescovo (nell’ambito diocesano), del vicario foraneo (nel livello foraniale) o del parroco (nel livello parrocchiale), è altrettanto vero – a motivo della natura comunionale – che la decisione deve maturare attraverso il dialogo, il confronto e il discernimento comunitario.

11. Si delinea così la natura consultiva del Consiglio Pastorale, che deve essere intesa in senso propriamente ecclesiale e solo analogicamente in riferimento al linguaggio comune e alla prassi degli ordinamenti giuridici democratici. Un’eccessiva contrapposizione del potere consultivo e di quello deliberativo, infatti, rischia di tradire la natura specifica della Chiesa e degli organismi ecclesiali di partecipazione. Il consigliare, nella Chiesa, è un momento privilegiato di discernimento, in un contesto orante di ascolto della Parola di Dio e delle istanze di tutte le componenti della Comunità locale. La decisione, di conseguenza, costituisce il momento in cui i vari pareri e suggerimenti maturati nel discernimento comunitario devono trovare la loro sintesi attraverso il ministero proprio dei pastori. In tal modo il Consiglio Pastorale è realmente soggetto unitario delle scelte ecclesiali, in quanto espressione compiuta di comunione in un’autentica fraternità cristiana, sia pure con la collaborazione diversificata del pastore e di tutti gli altri fedeli.

12. Per garantire il corretto funzionamento del Consiglio Pastorale è pertanto necessario che i suoi membri approfondiscano, mediante appositi momenti formativi e spirituali, la familiarità con la Sacra Scrittura, la conoscenza della dottrina e della disciplina della Chiesa, la coscienza ecclesiale, lo stile della comunicazione fraterna e la comune convergenza sul progetto pastorale. Ai pastori, in particolare, è richiesta l’attitudine al dialogo, la disponibilità all’ascolto, il coraggio del confronto, la pazienza nella relazione e l’equilibrio nel discernimento. È inoltre opportuno che, di tanto in tanto, il Consiglio Pastorale, da una parte, si rinnovi per evitare un’eccessiva chiusura e favorire un adeguato ricambio; dall’altra, assicuri una certa continuità per evitare un’indebita dispersione dei percorsi pastorali intrapresi.

13. Strumento imprescindibile di una coerente prassi pastorale, che consenta una vera rappresentatività dell’intera Comunità locale nel discernimento e nella decisione ecclesiali, è altresì l’Assemblea pastorale generale di tutti i fedeli. Essa deve costituire il naturale prolungamento dell’Assemblea liturgica e di essa, a sua volta, il Consiglio Pastorale deve ritenersi l’ulteriore naturale prolungamento, affinché la mediazione ecclesiale sia organicamente valida e funzionalmente efficace. A questa forma plenaria di partecipazione è conveniente unire anche l’apporto specifico dei gruppi, delle associazioni, dei movimenti e delle nuove comunità, nonché il contributo stabile o occasionale di persone ed enti con particolari competenze in materie e questioni di interesse per l’attività pastorale della Chiesa.

14. Sulla base di queste acquisizioni, il concorso organico e ordinato di tutte le forze ecclesiali e sociali, nel quale si matura l’attenzione ai segni dei tempi e che trova il suo luogo proprio nel Consiglio Pastorale, ha il dovere di contribuire al cambiamento della mentalità, all’adeguamento delle strutture, all’individuazione degli obiettivi prioritari e dei mezzi adeguati per perseguirli, al lavoro congiunto per l’attuazione dei percorsi proposti, alla verifica dei traguardi raggiunti e all’apertura di nuove vie. Per garantire questo servizio al Vangelo e alla storia, un momento privilegiato del discernimento in seno al Consiglio Pastorale deve diventare la lettura del territorio, intesa come analisi approfondita della realtà in cui si vive, attraverso la ricognizione dei dati statistici, la conoscenza delle dinamiche sociali e culturali, l’individuazione dei problemi e delle criticità, la definizione delle risorse e delle potenzialità. Solo mediante questo sforzo – che non può ridursi a un fatto isolato ed estemporaneo, ma deve segnare un permanente stile ecclesiale – il servizio del Consiglio Pastorale si qualifica e diventa sempre più capace di predisporre, con un’adeguata corrispondenza alla reale situazione della Comunità locale, la pianificazione delle linee operative, l’individuazione delle priorità, l’attribuzione delle responsabilità, il sostegno nel cammino, la valutazione del percorso e il rilancio di nuove prospettive.

Consiglio Pastorale - Premessa teologico-pastorale