Allo Spazio Temenos il primo appuntamento del XXV anniversario visita Giovanni Paolo II

«La nostra Chiesa agrigentina è stata testimone, in 25 anni, di due annunzi profetici. Gesto profetico il grido del Papa S. Giovanni Paolo II ad Agrigento il 9 maggio 1993, al termine della concelebrazione eucaristica a Piano S.Gregorio. Gesto profetico la visita di Papa Francesco a Lampedusa, per il primo viaggio apostolico del pontificato». Ha introdotto con queste parole, il direttore del nostro settimanale, Carmelo Petrone, la conversazione tra mons. Carmelo Ferraro, vescovo emerito di Agrigento e il card. Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento.

Una conversazione, primo degli eventi realizzati dalla Arcidiocesi per ricordare la visita di San Giovanni Paolo II a venticinque anni di distanza, in cui i due vescovi hanno ripercorso le due storiche visite in terra agrigentina.

“Le parole del Papa furono profetiche: non ha maledetto i mafiosi, ma li ha invitati a un incontro con Cristo. La mafia ritenne che fosse un’offesa da vendicare. Così nella basilica di San Giovanni in Laterano mise circa trecento chili di tritolo pochi mesi dopo. Il 15 settembre fu ucciso padre Puglisi. Perché la vendetta è il linguaggio della mafia”. Così mons. Carmelo Ferraro, ricordando il grido e l’invito alla conversione rivolto dal pontefice ai mafiosi nella Valle dei Templi, mons. Ferraro lo ha considerato un “punto di non ritorno” della Chiesa nei confronti della mafia. “Quando il Papa parlò di uomini assassinati innocenti ricordava probabilmente l’emozione forte che aveva provato durante l’incontro con i genitori del giudice Livatino nel palazzo arcivescovile, che aveva cercato di consolare con le parole della fede – ha aggiunto il presule -. Questo incontro avrà influito psicologicamente. Ci trovavamo di fronte a una piaga aperta. Qualche mese prima era stato ucciso il giudice Borsellino con un atto di guerra e prima ancora Falcone”. A proposito della preparazione della Chiesa di Agrigento a quell’incontro, il vescovo ha ricordato che “andavamo dal Papa per dire quello che eravamo, presentando l’impegno della Chiesa nel servire il Vangelo attorno all’uomo. Sapevamo che era un’ora straordinaria di grazia”. Un anno prima la Chiesa agrigentina aveva redatto un documento sull’“emergenza mafia”. “La guerra di mafia aveva contato duecento morti ammazzati, eravamo profondamente feriti. Ho ritrovato 14 mie lettere alle comunità in cui chiedevo preghiera e proteste contro questi delitti. Siamo arrivati alla conclusione che l’indifferenza era connivenza alla mafia. A Palma di Montechiaro realizzammo un movimento giovanile di protesta”. L’eco del “grido profetico” del Papa di condanna della mafia ebbe conseguenze. “Nell’Anno santo del 2000 realizzammo una Via Crucis nei paesi della diocesi facendo una stazione davanti a ogni posto dov’era stato ucciso un uomo dalla mafia”.

“Il suo era un cuore di pellegrino. Lo manifestò sulla nave, quando incontrò gli immigrati e nel cimitero dei barconi, dove disse ‘Quanta sofferenza!’. Credo sia stata questa la sua lettura di quel viaggio”. Così l’arcivescovo  card. Francesco Montenegro, ha ricordato il viaggio di Papa Francesco a Lampedusa.

“Per me è stato l’inizio del suo viaggio in mezzo alla povertà e all’immigrazione – ha aggiunto il porporato –. Un viaggio che ancora non si è concluso. Il suo è un pellegrinaggio a puntate in cui rivolge attenzione all’uomo che soffre, ai poveri e a chi è costretto a migrare”. Il cardinale ha sottolineato come Francesco “non si è fermato nonostante i venti contrari”. “Il suo viaggio va coinvolgendo sempre più. La sindrome della paura che la politica ci mette nel cuore non sta frenando il Papa. Chiede notizie sulle migrazioni e dà indicazioni”.