Mons. Damiano: «Da San Gerlando possiamo imparare il tratto del vero uomo di Dio»

Venerdì 24 febbraio, nella Basilica Cattedrale di Agrigento l’Arcivescovo, mons. Alessandro Damiano, ha presieduto il Solenne Pontificale di San Gerlando, patrono dell’Arcidiocesi e città di Agrigento. Alla Celebrazione erano presenti i fedeli, le autorità civili e militari, i presbiteri, i Cavalieri di Malta e del Santo Sepolcro ed i rappresentanti della comunità di Ravanusa, il cui sindaco, Carmelo D’Angelo, ha offerto l’olio e acceso la lampada votiva che arde davanti l’urna con le reliquie di San Gerlando.

Il sindaco di Ravanusa accende la lampada votiva a San Gerlando

L’Arcivescovo Alessandro, all’inizio della Celebrazione, ha invitato a volgere lo sguardo alla guerra in Ucraina e a pregare per la pace e per tutta la popolazione colpita dal conflitto in corso. “Era l’11 aprile 1963, quando Giovanni XXIII – ha detto mons. Damiano,  introducendo l’atto penitenziale –  pubblicò l’enciclica, Pacem in terris indirizzata a tutti gli uomini di buona volontà credenti e non credenti, lì solennemente affermava: «Nell’epoca dell’arma atomica, è fuori dalla ragione pensare che la guerra possa essere un mezzo idoneo a risarcire i diritti violati». Oggi ci troviamo a celebrare questa divina liturgia mentre la guerra continua a offendere e violare la dignità dell’uomo. Dedicando questa celebrazione alla pace”.

Nell’omelia, facendo memoria di Gerlando, primo vescovo del secondo millennio, nominato dal conte Ruggero vescovo della città nel 1088, consacrato a Roma da papa Urbano II. Ha ricordato come “le note storiche ci dicono che l’opera evangelizzatrice di S. Gerlando fu tesa principalmente ad alimentare la fede in quei pochi cristiani che trovò nella città  e nella diocesi e, poi, a convertire gli ebrei e i musulmani, attraverso il suo esempio e grazie alla sua parola. Tanti anni – ha proseguito- sono trascorsi da allora eppure alcune questioni sono ancora attuali”. L’Arcivescovo ne ha evidenziato due in particolare:

– Il dialogo arabo-cristiano, vivo al suo tempo come al nostro, oggi segnato da irrigidimenti e radicalizzazioni che si abbrutiscono fino alla violenza terroristica  ma anche alimentato e illuminato da eventi come il Documento sulla Fratellanza Umana che porta le firme di papa Francesco e del Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb, dove leggiamo: «In nome di Dio e di tutto questo, Al-Azhar al-Sharif – con i musulmani d’Oriente e d’Occidente –, insieme alla Chiesa Cattolica – con i cattolici d’Oriente e d’Occidente –, dichiarano di adottare la cultura del dialogo come via; la collaborazione comune come condotta; la conoscenza reciproca come metodo e criterio».

– Il rapporto sempre critico tra Chiesa e potere politico. Pensiamo, tra le altre, alle questioni legate al fine vita, di cui in questi ultimi giorni si dibatte e che ha portato papa Francesco a riaffermare nell’udienza del 9 febbraio che «La vita è un diritto, non la morte, la quale va accolta, non somministrata. E questo principio etico riguarda tutti, non solo i cristiani o i credenti», o al riconoscimento dello status dell’embrione fin dal concepimento”.

Da San Gerlando – ha detto ai presenti – che fu maestro di discernimento, possiamo imparare il tratto del vero uomo di Dio, temprato dagli eventi e dalle delusioni, teso alla conversione interiore e all’assunzione di realtà umane autentiche. L’arte e la fatica del discernimento ci appartengono, ciascuno di noi, seppur con ruoli e responsabilità diverse è chiamato a “fare discernimento” nella propria vita e per il servizio a cui è chiamato, facendo i conti con la storia e la quotidianità; per i credenti – ha proseguito – i conti vanno fatti con coraggio profetico guidati dall’ascolto accogliente di ciò che lo Spirito dice alle Chiese, «rifiutando le dissimulazioni vergognose, senza comportarci con astuzia né falsificando la parola di Dio, ma annunziando apertamente la verità» (cfr. 2Cor 4,1-2.5-7). Ezechiele, profeta, ce lo ha ricordato (prima lettura ndr): «Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia. Se io dico al malvagio: Tu morirai! e tu non lo avverti e non parli perché il malvagio desista dalla sua condotta perversa e viva, egli, il malvagio, morirà per la sua iniquità, ma della sua morte io domanderò conto a te». Mai possiamo dire a noi stessi – ha ricordato ai presenti –  che non ci importa dell’altro; se per la fraternità infranta fu chiesto a Caino dove è tuo fratello Abele, per la fraternità negata verrà chiesto ad Abele dove è tuo fratello Caino”. Ha poi consegnato – citando il Messaggio della Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana per la Quaresima ormai alle porte – l’invito ad una triplice conversione:  “Conversione all’ascolto, alla realtà e alla spiritualità”.

– Conversione all’ascolto. In questa prima fase del Cammino sinodale – ha detto come “l’ascolto è l’imperativo rivolto al credente, che risuona anche sulla bocca di Gesù come il primo e più grande dei comandamenti: «Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore» (Mc 12,29; cfr. Dt 6,4).” In particolare ha raccomandato “l’ascolto del dissidente, quello che è fuori dai recinti delle nostre parrocchie, associazioni, gruppi, movimenti… L’ascolto – ha ricordato – trasforma anzitutto chi ascolta, scongiurando il rischio della supponenza e dell’autoreferenzialità. Una Chiesa che ascolta è una Chiesa sensibile anche al soffio dello Spirito. «L’ascolto  – ha proseguito – non è una semplice tecnica per rendere più efficace l’annuncio; l’ascolto è esso stesso annuncio, perché trasmette all’altro un messaggio balsamico: Tu,  per me, sei importante; meriti il mio tempo e la mia attenzione; sei portatore di esperienze e idee che mi provocano e mi aiutano a crescere”. Ascolto della Parola di Dio e ascolto dei fratelli e delle sorelle vanno di pari passo. L’ascolto degli ultimi, poi – ha continuato –  è nella Chiesa particolarmente prezioso, poiché ripropone lo stile di Gesù, che prestava ascolto ai piccoli, agli ammalati, alle donne, ai peccatori, ai poveri, agli esclusi» (cfr. Consiglio Episcopale Permanente, Messaggio agli operatori pastorali).

Conversione alla realtà. Il Dio cristiano – ha proseguito – è il Dio della storia: lo è a tal punto da decidere di incarnarsi in uno spazio e in un tempo precisi… la presenza del Figlio di Dio tra noi è stata la prova definitiva di quanto la storia degli uomini sia importante agli occhi del Padre… L’ancoraggio alla realtà storica caratterizza dunque la fede cristiana. Non cediamo – ha esortato – alla tentazione di un passato idealizzato o di un’attesa del futuro dal davanzale della finestra. È invece, urgente l’obbedienza al presente, senza lasciarsi vincere dalla paura che paralizza, dai rimpianti o dalle illusioni. L’atteggiamento del cristiano è quello della perseveranza: «Se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza» (Rm 8,25). Questa perseveranza è il comportamento quotidiano del cristiano che sostiene il peso della storia (cfr. 2Cor 6,4), personale e comunitaria”. Facendo poi, riferimento in Cattedrale alla presenza di una parte della comunità ecclesiale di Ravanusa dell’Arciprete, don Filippo Barbera e del Sindaco che rappresenta tutta la comunità civile, ha detto come questa, “ci radica nella realtà drammatica vissuta nel periodo natalizio e che rimarrà nella memoria di molti. Mai fuggire la realtà per quanto dura possa essere, mai fuggire la storia con le sue contraddizioni. Questa seconda conversione – ha ricordato – ci spinge all’impegno a documentarsi con serietà e libertà di mente e a sopportare che ci siano problemi che non possono essere risolti in breve tempo e con poco sforzo.

Ed in fine la Conversione alla spiritualità che “rimanda all’uomo nuovo di cui ci parla l’apostolo Paolo, non la spiritualità della vispa Teresa ma quella adesione alla vita nello spirito che spinge diventare uomini e donne che assumono progressivamente la logica di Dio, aprendosi a un orizzonte infinitamente più ampio, sia in riferimento al futuro escatologico e alla vita eterna, sia riguardo al tempo presente e al futuro storico che insieme è possibile sognare, preparare e costruire. Forse – ha notato – non siamo abbastanza liberi di cuore da riconoscere queste opportunità di amore, perché frenati dalla paura o condizionati da aspettative irrealistiche. Mentre lo Spirito, invece, continua a lavorare come sempre”. Ha concluso l’omelia ponendo ai presenti due domande: “Quale azione dello Spirito è possibile riconoscere in questo nostro tempo? Andando al di là dei meri fatti che accadono nel nostro presente, quale lettura spirituale possiamo fare della nostra epoca, per progredire spiritualmente come singoli e come comunità credente? “Interrogativi che Alessandro, il successore di Gerlando, ha posto alla sua Chiesa e che non possono essere elusi dalla comunità.