Messa Crismale, mons. Damiano: “Tutti partecipi dell’unica missione sacerdotale, profetica e regale di Cristo”

Mercoledì 13 aprile 2022, l’Arcivescovo, mons. Alessandro Damiano,  ha celebrato la Messa Crismale nella Basilica Cattedrale. Una liturgia ricca di significati, a partire dal fatto che vede tutta la Chiesa riunita attorno al vescovo, manifestando così la sua multiforme varietà di carismi e vocazioni. Essa è significativa anche perché il vescovo benedice e consacra gli olii santi: il crisma, l’olio dei catecumeni e l’olio degli infermi che al termine della Messa ciascun parroco ritirerà in appositi vasetti e che verranno utilizzati durante l’anno liturgico per i battesimi, le cresime, l’unzione dei malati. Altro tratto distintivo della celebrazione il rinnovo, da parte del presbiterio, delle promesse sacerdotali come segno di unità con il vescovo e di fedeltà verso l’unzione ricevuta.

La processione iniziale, dei presbiteri, dal Seminario alla Cattedrale , #cape73

Nell’omelia – mons. Damiano ha ricordato come “per la prima volta dall’inizio della pandemia, in questi giorni possiamo finalmente tornare a una certa normalità, riprendendo anche le espressioni esteriori della pietà popolare. Ma sarebbe un’opportunità sprecata – ha subito aggiunto – tornare alla normalità senza fermarci a riflettere seriamente sulla nostra identità cristiana, che l’emergenza sanitaria degli ultimi due anni ha messo in crisi, insieme a tanti altri aspetti della nostra vita personale e collettiva. È questa capacità di “ritrovare il senso” a rendere straordinario ciò che rischia di diventare normale, valorizzando anche i momenti più critici e drammatici per farne occasioni di riscatto e rilancio. E la Messa Crismale, sia per il suo significato sia per i suoi contenuti, è sicuramente un’occasione provvidenziale per farlo. In prossimità della Pasqua, attorno a cui ruotano e si articolano la vita e la missione della Chiesa, questa celebrazione esprime in primo luogo il nostro essere popolo di Dio: un popolo di sacerdoti, profeti e re, con condizioni diverse — laici, chierici, religiosi e religiose — ma tutti partecipi dell’unica missione sacerdotale, profetica e regale di Cristo.

La Parola che abbiamo appena ascoltato – ha proseguito –  ci ha ricordato che questa missione consiste nel «proclamare l’anno di grazia del Signore». Possiamo dire — utilizzando un’espressione che spesso è risuonata in questi due anni e mettendola a confronto con un’espressione tipicamente biblica — che consiste nel fare del nostro “tempo sospeso” un “tempo di pienezza”. A rendere “sospeso” il tempo non sono soltanto gli avvenimenti che, come la pandemia, a prescindere dalla nostra volontà, ci costringono a interrompere o a ridimensionare le nostre abitudini e le nostre consuetudini. Sono soprattutto le ingiustizie che commettiamo e che lasciamo commettere a scapito dei più deboli e dei più indifesi, lasciandoli nella sospensione di un futuro incerto e di un presente insostenibile; sono le tante guerre che ci facciamo tra di noi senza capire che si tratta sempre di guerre tra poveri, per contenderci come diritto indiscutibile ciò che dovremmo condividere come bene comune; sono le tante guerre di cui i circa sessanta conflitti armati attualmente in corso — in Ucraina e in tantissime altre parti dimenticate del mondo — sono solo l’espressione ingigantita e portata alle conseguenze più estreme. «Proclamare l’anno di grazia del Signore» significa rompere con la concezione di un tempo inteso come sequenza di fatti subìti con rassegnazione, decisi per egoismo o permessi con indifferenza, per imparare a sentirci responsabili di tutti e di tutto nello stile della Pasqua, in cui il Vangelo di Cristo trova la sua espressione più compiuta.

Il sacro Crisma — che prende il nome da Cristo e da cui la celebrazione di oggi, a sua volta, prende il nome — esprime questa altissima missione a cui tutti i battezzati siamo chiamati e abilitati. Quanti siamo stati unti con questo olio – ha detto – non possiamo perderla di vista, ma dobbiamo sforzarci di assomigliare sempre di più a Colui che l’ha vissuta in pienezza, soprattutto con la sua morte e la sua risurrezione. Quest’anno l’olio che consacreremo contiene anche olio della molitura proveniente dalle olive degli alberi piantati sul luogo della strage di Capaci, consegnatomi qualche giorno fa dal Questore di Agrigento (vedi). Un valore aggiunto, che — a trent’anni dalla strage e accomunando a quelle di quel giorno tutte le vittime di mafia — unisce alla forza del sacrificio di Cristo anche quella di tante donne e di uomini assetati di giustizia e di verità, capaci di dare la vita per ricercarle e per difenderle, nell’unica missione al servizio del bene.

Insieme al sacro Crisma, anche l’olio dei catecumeni e quello degli infermi servono a sostenere coloro che aspettano di essere inseriti nel corpo ecclesiale per assumere questa missione e coloro che, attraverso il ministero della sofferenza, possono dare compimento nella loro carne alle sofferenze di Cristo in favore del suo corpo che è la Chiesa, come ci insegna san Paolo (cf. Col 1,24).

Il popolo di sacerdoti, profeti e re, unito così alla missione sacerdotale, profetica e regale di Cristo, non è dunque la somma indistinta dei tanti individui che lo compongono. Esso è appunto come un corpo organicamente strutturato, nel quale le varie membra, con la loro diversità e la loro complementarità, sono tenute insieme e composte in armonia dal capo che le guida. Questo “capo” — nel senso della testa che unifica le parti del corpo e presiede alla sua attività — è Cristo stesso e, in Lui, coloro a cui partecipa il sacerdozio ministeriale attraverso il sacramento dell’Ordine sacro. Nella Chiesa particolare, come sapete, il vescovo è il segno della presenza di Cristo; e i presbiteri, in comunione con lui, lo rendono presente nella concretezza delle comunità locali. Nella tradizione ecclesiale, la Messa Crismale è la manifestazione per eccellenza di questa comunione, che è la garanzia dell’unità e della corresponsabilità dell’intero corpo ecclesiale in un luogo e in un tempo determinati, al servizio di Dio e della storia.

Abbiamo tutti ancora vivo il ricordo della Messa Crismale dell’anno scorso — posticipata al 22 maggio, il giorno precedente la Pentecoste — durante la quale mons. Montenegro mi ha consegnato la guida della nostra Chiesa Agrigentina (Vedi). Quel giorno, oltre al segno della comunione della Chiesa attorno all’unico presbiterio presieduto dal vescovo, abbiamo avuto modo di contemplare anche il «segno della vivente Tradizione ecclesiale, nella quale il Signore stesso, pastore e custode delle nostre anime (cf. 1Pt 2,25), guida la Chiesa attraverso il ministero dei pastori, scelti fra gli uomini e per gli uomini costituiti tali (cf. Eb 5,1)».

Come ho avuto modo di dire in quell’occasione, la stessa successione non è «il fatto tecnico della sostituzione, per cui uno è chiamato a prendere il posto che un altro è chiamato a lasciare», ma «l’atto — propriamente teologico e prima ancora teologale — della consegna di qualcosa che non appartiene né a chi lo lascia né a chi lo riceve, perché è di Colui che ce lo affida […] in favore di ciò che ci consegna (cf. Ef 3,2)». Così, da allora – ha detto ai presenti – mi sto sforzando di vivere ogni giorno il mio servizio episcopale alla nostra Chiesa e così vorrei che ognuno di voi, carissimi sacerdoti, vivesse il suo ministero presbiterale secondo l’ufficio ricevuto. Le promesse fatte al momento dell’Ordinazione, che tra poco rinnoverete – ha detto ai presbiteri presenti – non siano un atto dovuto, ma un’occasione per riaffermare pubblicamente, dinanzi a Dio e agli uomini, l’impegno a unirci intimamente al Signore Gesù, modello del nostro sacerdozio. Siano l’occasione per decidere nuovamente di rinunciare a noi stessi e di lasciarci guidare non da interessi umani, ma dall’amore per i fratelli e le sorelle che siamo chiamati a servire — i poveri e gli oppressi in particolare — perché l’intero popolo cristiano sia sempre più consapevole e responsabile della comune missione al servizio del regno di Dio.

Al termine della celebrazione, per rilanciare questa missione – ha detto , vi consegnerò il mio secondo messaggio alla Diocesi (Leggi Qui). Dopo aver delineato — nel primo messaggio — i tratti della “Chiesa della Trinità e dell’Eucaristia”, mi sono concentrato su quelli della “Chiesa della Pasqua”. A partire da una lettura trasversale dei racconti pasquali, ho provato a raccogliere alcune considerazioni che possono aiutarci a fare luce su alcune contraddizioni che caratterizzano le nostre risposte alla missione che il Signore ci affida, facendoci altalenare tra novità e resistenze, tra coraggio e paura e tra fede e incredulità. Alla fine, ripartendo dal «volto bello della Chiesa della Pasqua, che diventa tanto più radioso quanto più riconosce le sue ombre e si lascia trasfigurare dalla luce di Cristo risorto», ho anche abbozzato tre piccole sollecitazioni, che vorrei ci stimolassero in questo tempo di ritorno alla normalità, forti dell’identità ritrovata, e che pertanto vi consegno a conclusione di questa mia riflessione.

  1. La sfida del cercarsi. La prima cosa che i discepoli fanno, dopo essersi dispersi di fronte alla croce, è cercarsi fra loro. Da soli non avrebbero potuto reggere il peso di quanto era successo né affrontare quanto stava per accadere. E così, mentre ritrovano gli altri, ritrovano se stessi.
  2. L’arte del raccontarsi. Dopo essersi ritrovati, cominciano a mettere in comune ciò che ognuno di loro ha visto e sentito. In questo raccontarsi si scoprono parte di un’unica storia e imparano a leggervi il passaggio del Signore, che — in modo diverso, ma non per questo meno reale — continua a farsi presente nelle loro vite.
  3. La disponibilità a lasciarsi precedere. Alla fine sentono che non possono tenere per sé questo racconto, perché la gioia di averlo incontrato è incontenibile. E così comincia la corsa del Vangelo, che arriva fino a noi e che, attraverso di noi, deve continuare. A condizione, però, di non volere portare noi stessi, ma di lasciare che sia il Signore a precederci; e non solo dove ci manda, perché altri lo possano incontrare, ma dove ci dà appuntamento, perché prima vuole incontrarsi con noi.

Allora sarà di nuovo Pasqua. E il dono pasquale della pace sarà il «vincolo» per mezzo del quale custodiremo «l’unità dello Spirito», nella Chiesa e nel mondo, con i vicini e con i lontani.

A tutti e a tutte – ha concluso – auguro un santo triduo pasquale, per mettere a frutto quanto lo Spirito sta continuando a dire alla nostra Chiesa”.

Al termine della S. Messa, come da tradizione, mons. Damiano ha voluto ricordare, i presbiteri che nel corso dell’anno celebreranno gli anniversari di ordinazione presbiterale, La raccolta della celebrazione e quella tra i presbiteri presenti, a cui il vescovo ha chiesto un personale contributo, è stata devoluta per sostenere l’esperienza della cooperazione missionaria nel Sud Albania iniziata lo scorso settembre con l’invio di don Riccardo Scorsone, Giovanni Russo, Maria Vega e Vicky Lipari.