Messa crismale – Montenegro: «Essere Vangelo vivente e leggibile»

«Con questa assemblea liturgica – momento tra i più importanti della vita diocesana – si manifesta la Chiesa tutta, la nostra Chiesa, corpo di Cristo, strutturata nei diversi ministeri, che rende grazie ed è in festa». Ha ricordato l’importanza e il grande significato della Messa Crismale, l’arcivescovo di Agrigento, Francesco Montenegro nell’omelia pronunciata nel corso della Santa Messa del giovedì santo tenutasi nella Concattedrale Santa Croce di Agrigento.

Una Chiesa gremita da sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose che hanno voluto pregare il Signore, insieme ai tanti fedeli presenti, nel giorno in cui ricordano il giorno in cui vennero consacrati con olio crismale.

Ad inizio della Celebrazione Eucaristica il vicario generale, mons. Melchiorre Vutera ha porto a nome dei presenti, il saluto all’arcivescovo Montenegro. «Carissimo Padre Vescovo – ha detto mons. Vutera – a lei che tra poco consacrerà e benedirà questi oli, a noi tutti che li accoglieremo con fede, conceda il Signore: di vivere la nostra consacrazione, con amore indiviso a Dio e ai fratelli; di emanare con la nostra vita il profumo di santità e di cose belle; di accogliere con fede il perdono di Dio, per risanare le tante ferite che ci fanno ancora soffrire; di illuminare la nostra Chiesa agrigentina con scelte eroiche e coraggiose secondo lo stile di Gesù».

Nella sua omelia l’arcivescovo ha richiamato i presenti al significato dell’olio crismale e della Chiesa: «Isidoro di Siviglia affermava che “tutta intera la Chiesa è consacrata con l’unzione del crisma, perché essa è membro dell’eterno re e sacerdote”, tant’è vero che – ha detto l’arcivescovo Francesco – senza l’unzione non “possiamo chiamarci cristiani”. C’è chi ha definito la Chiesa “corpo crismato”. Ognuno di noi deve perciò sentire così forte la consapevolezza dell’essere unto da tradurre tale gesto nella sua vita, i presbiteri col sacerdozio ministeriale, i laici con quello comune».

Ma ha richiamato anche al ruolo che è chiamata a svolgere, nel mondo di oggi, che «lo sappiamo, non può essere considerata – ha detto l’arcivescovo – un‘azienda specializzata in strategie pastorali, ma opera e dono dello Spirito Santo, che agisce con e attraverso noi. Il suo compito primario è annunciare il Vangelo; essa esiste, vive ed è inviata per far sperimentare la presenza di Dio tra gli uomini perché Lo riconoscono unico centro vivificante e significativo. Ciò vuol dire che la missione è la nostra spiritualità e l’evangelizzazione il nostro continuo impegno. Il verbo che esprime la missione è “andare”, il restare fermi invece non ci fa vivere la fedeltà allo Sposo».

Ma anche le parrocchie devono saper vivere la “missionarietà” richiamata da Papa Francesco, ha infatti detto l’arcivescovo: «Se le parrocchie fossero aziende personali avremmo tutti mille e inattaccabili motivi per impostarle secondo il punto di vista di ciascuno. Ma il fatto che è lo Spirito ad animarla e a metterla in “uscita” significa che, liberi da pregiudizi e personalismi, insieme, dobbiamo trovare la capacità di superare le nostre vedute e riscoprire la forza salvifica del Vangelo. Noi, è vero, siamo strumenti intelligenti, ma solo strumenti».

Strumenti nella mani di quanti hanno consacrato la loro vita a Dio e che non devono cadere nel «trabocchetto di accontentarsi di inventare vuote strategie». Come fare perché ciò non avvenga? La soluzione l’ha indicata l’arcivescovo Francesco: «fare il passaggio da una pastorale di “cose da fare” a quella di un “modo di essere”; da una “pastorale dei servizi” a una “pastorale dell’incontro”; dalla pastorale del “salone parrocchiale”, a quella dei “luoghi dove vive la gente”. Ci stia a cuore “esserci” là dove vivono gli uomini, anche quando sembra che la pesca sia stata inutile, le reti vuote e il morale giù».

Dall’annuncio e dalla missionarietà che Chiesa c’è da aspettarsi? «Una Chiesa – ha concluso l’arcivescovo Montenegro – che serve gli uomini offrendo il vino che ristora e disinfetta e l’olio che lenisce e corrobora. L’annuncio e la missione richiedono la scelta sincera delle beatitudini perché in un territorio, come il nostro, ci si liberi dalle schiavitù criminali e mafiose e si costruisca una vita che, opponendosi alla cultura di morte, eviti che il sale diventi insipido, il lievito rancido e il lucignolo fumigante. Nella carità troveremo il termometro della nostra fedeltà alla missione che siamo chiamati a svolgere nel mondo».