L’ Avvento, mons.Damiano: “non tempo di fuga, ma di coraggio e vigilanza”

mons. Alessandro Damiano (ph. da “L’Amico del Popolo”)

“Nello scorrere del tempo, nel susseguirsi degli anni la liturgia ci offre un suo tempo. Il tempo liturgico o anno liturgico può essere definito un “sacramentale”; è uno dei tanti segni – in questo caso “il tempo” – che Dio utilizza per salvare l’uomo…  Con il tempo di Avvento inizia un nuovo anno liturgico. Ci raggiunge come un invito e come un dono: darsi e accogliere la possibilità di ricominciare”.

Lo ha detto mons. Alessandro Damiano, presiedendo, il 3 dicembre 2023, nella Cattedrale di Agrigento, la S. Messa nella prima domenica di Avvento, al termine del XIII raduno regionale “Come a Cana”, delle coppie di coniugi francescani dell’OFS che si tenuto in Città sul tema: “La famiglia che genera e che educa”. Nella mattinata, invece, l’Arcivescovo ha celebrato l’Eucarestia, nella Chiesa Sant’Alfonso, con i volontari parrocchiali e diocesani di Caritas Diocesana in occasione del Ritiro di Avvento che si è tenuto presso il Seminario Arcivescovile.

Con con i volontari Caritas Diocesana

Tratto caratteristico di questo tempo – ha proseguito – è “Orientare la vita verso la venuta del Signore”; ha poi precisato che: “non è una fuga da questo tempo carico di pena e incertezza, pensiamo alle due guerre che insieme a morte e distruzione stanno seminando un profondo odio, quanto invece un atto di coraggio che si sostanzia di quella vigilanza cui invita con forza il brano evangelico di questa prima domenica”: … A questo – ha detto – sono orientati gli imperativi che ritmano il brano: “Guardate”, “restate svegli”, “vegliate”, in un crescendo che chiede sempre più presenza e capacità di penetrazione delle sfide del nostro tempo”.

Ha fatto poi riferimento alla 57esima edizione del Rapporto Censis sulla condizione economica e sociale dell’Italia sceglie per gli italiani – per noi – l’immagine dei sonnambuli: «persone apparentemente vigili incapaci di vedere i cambiamenti sociali, insipiente di fronte ai cupi presagi» e senza quel necessario «calcolo raziocinante» necessario per affrontare le complessità del periodo che stiamo vivendo. Gli italiani, insomma – ha proseguito – , sono ciechi di fronte ai presagi, che vanno dal calo demografico al rallentamento dell’economia nonostante la crescita del numero degli occupati. E, citando A. Guerrieri di Avvenire, in più intrappolati all’interno dell’«ipertrofia emotiva» dominata dalla paura che li paralizza. Così ci si ripiega sui «desideri minori» senza rincorrere l’agiatezza e i grandi traguardi del periodo dello sviluppo, ma alla ricerca di uno spicchio di benessere quotidiano (cfr. A. Guerrieri, Avvenire).

“L’Avvento –  ha continuato – richiama noi, rinati dall’acqua e dallo Spirito, e tutti gli uomini e le donne di buona volontà a ricominciare guardando al compimento, piuttosto che alle nostre prestazioni e ai nostri fallimenti. Guardando al futuro, non per misconoscere il passato o fuggire il presente, ma per ricomprendere tutto a partire dal compimento: il ritorno del Signore, alla fine dei tempi, e da lui ricevere senso e orientamento per il nostro impegno quotidiano, certi che come già dice Paolo alla comunità di Corinto: «Egli vi renderà saldi sino alla fine, irreprensibili nel giorno del Signore nostro Gesù Cristo».” Si è chiesto: “Come vivere dunque questo tempo di attesa?” ; dal brano del Vangelo ha tratto alcune indicazioni: «È come un uomo…» (v. 34). Marco non esplicita il primo termine di paragone. Cos’è “come un uomo”? Possiamo intendere – ha detto – che parli della vita, del nostro presente. Un tempo caratterizzato da un’assenza, quella di «un uomo che è partito» (v. 34), non sappiamo chi sia. Intuiamo che si tratti di Gesù, del quale curiosamente dice che «ha lasciato la propria casa» (v. 34). Sì, perché ormai, dopo l’incarnazione, la terra è anch’essa casa del Signore. Anche se ritarda, sembra dire Marco, ci ha lasciato la sua dimora: una casa da abitare. Ma oltre alla casa, ha anche dato «ai suoi servi l’autorità, a ciascuno la sua opera» (v. 34), con cui abitare questo spazio e le relazioni che vi si intrattengono.

In questo tempo di attesa ciascuno è affidatario di un’autorità e nessuno ne è privo. Si tratta di una responsabilità che si concretizza in un’opera concreta da svolgere… e a tutti è chiesto di vegliare, di non farsi prendere dal sonno… Ecco il senso della nostra vita e di questo tempo di attesa, che ci separa dal ritorno del Signore: vegliare per restare fedeli abitatori della casa del Signore, esercitando la responsabilità affidata a ciascuno”.   L’indeterminatezza del ritorno – ha affermato – impone la vigilanza, il cui invito è rivolto a tutti, come dice il testo a conclusione: «Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!» (v. 37) Siamo chiamati a vegliare sulla vita, perché è con la vita, vissuta in modo responsabile, che si attende o no il Signore”.

Ha concluso l’intervento omiletico ricordando come la Visita Pastorale, “sarà occasione privilegiata per abitare consapevolmente le nostre comunità e le nostre città, restando svegli, facendo ciascuno la propria parte, con coraggio e con dolcezza. Il coraggio e la dolcezza di chi sa che il Signore gli è già accanto e che il Signore gli viene incontro”.

Carmelo Petrone (da www.lamicodelpopolo.it)