Il GiudiceRosario Angelo Livatino è beato (parole e immagini del Rito)

(di Carmelo Petrone) Il 9 maggio 2021, segnerà per la Chiesa agrigentina una data memorabile, non solo per la storica visita di San Giovanni Paolo II che nel 1993, a Piano San Gregorio, pronunciò il “grido del cuore” invitando i mafiosi a conversione, ma, da domenica 9 maggio 2021,  anche per la beatificazione del primo giudice martire in odium fidei, Rosario Angelo Livatino. La mattina del 9 maggio del 1993, Giovanni Paolo II aveva incontrato, nel palazzo vescovile, i familiari del giudice Saetta ed i genitori di Rosario Livatino e definito Livatino “un martire della giustizia e indirettamente della fede”; fu probabilmente quell’incontro ad ispirare il Grido “mafiosi convertitevi, un giorno verrà il giudizio di Dio” al termine della Messa nella Valle ai piedi del tempio della Concordia (vedi).

A presiedere la celebrazione eucaristica con il rito di beatificazione il Card. Marcello Semeraro, Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi e delegato pontificio. A concelebrare il Card. Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento, il card. Paolo Romeo, arcivescovo emerito di Palermo mons. Alessandro Damiano arcivescovo coadiutore, e mons.Vincenzo Bertolone, Postulatore, arcivescovo di Catanzaro- Squillace. In Cattedrale, ornata da palme, simbolo del martirio – per le restrizioni imposte dall’emergenza sanitaria in corso, – erano pochi i presenti, alla cerimonia. 200 persone in tutto in rappresentanza di vescovi, presbiteri, religiosi, fedeli, familiari e autorità. 21 vescovi siciliani, tra cui l’arcivescovo emerito di Agrigento mons. Carmelo Ferraro che,  nel 1993,  incaricò la professoressa Ida Abate, docente di latino e greco di Livatino, di raccogliere le testimonianze per la causa di beatificazione, e i vescovi di origine agrigentina mons. Ignazio Zambito e mons. Salvatore Muratore. Presenti, inoltre, 32 presbiteri, in rappresentanze delle 9 foranie della Diocesi di Agrigento, tra essi il parroco di San Domenico di Canicattì – parrocchia del Giudice – don Salvatore Casà, don Giuseppe Livatino, primo postulatore e don Luigi Ciotti, presidente di Libera. Tra le autorità civili e militari (rappresentanti della politica e delle istituzioni nazionali, regionali e locali), una cinquantina, il presidente della Regione Siciliana Nello Musumeci, il vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura David Ermini, il sottogretario al ministero dell’Interno Nicola Molteni, il Procuratore generale antimafia Federico Cafiero De Raho. Presenti, in rappresentanza di tutti i sindaci, anche il sindaco della città di Agrigento Francesco Micciché e di Canicattì Ettore Di Ventura. Tra i partecipanti alla celebrazione eucaristica anche una rappresentanza dei familiari del beato Rosario Angelo Livatino, tra cui il primo cugino Salvatore Insenga che ha portato al cardinale Marcello Semeraro la reliquia del nuovo beato. Unitamente ai familiari era presente una rappresentanza della comunità ecclesiale diocesana ma soprattutto di Canicattì, città natale di Livatino. Ad animare la Celebrazione Eucaristica 8 componenti del Coro Diocesano guidati dal maestro Graziella Fazzi. Il servizio Liturgico è stato curato dal cerimoniere don Liborio Lauricella Ninotta, coadiuvato da alcuni seminaristi e ministri istituiti. Un intero popolo ha, tuttavia, partecipato, tramite la tv (Rai Uno e Tv2000 hanno trasmesso in diretta la celebrazione) gli streaming web o la semplice preghiera, a questa celebrazione tanto attesa. Una festa grande per l’Arcidiocesi di Agrigento e per la Chiesa tutta. Suggestivo il rito di beatificazione che ha avuto nella lettura, da parte del Cardinale Prefetto,  della lettera di Papa Francesco il suo culmine:

“Noi – scrive il Papa – , accogliendo il desiderio del Nostro Fratello Francesco Montenegro, Cardinale di Santa Romana Chiesa, Arcivescovo Metropolita di Agrigento, e di molti altri Fratelli nell’Episcopato e di molti fedeli, dopo aver avuto il parere della Congregazione delle Cause dei Santi, con la Nostra Autorità Apostolica concediamo che il Venerabile Servo di Dio Rosario Angelo Livatino laico, martire, che nel servizio della giustizia, eccellendo nella fede, si mise ragionevolmente sotto la protezione di Dio e fu testimone credibile del Vangelo fino all’effusione del sangue, d’ora in poi sia chiamato Beato e che si possa celebrare la sua festa nei luoghi e secondo le regole stabilite dal diritto, ogni anno, il 29 del mese di ottobre (data della cresima n.d.r.). Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Dato a Roma, presso il Laterano, giorno 11 del mese di aprile, nella seconda Domenica di Pasqua o della divina Misericordia, dell’anno del Signore 2021, nono del Nostro Pontificato”.

Al termine della lettura della lettera apostolica è stata scoperta immagine del nuovo beato, e portata processionalmente, dal cugino del Giudice Rosario Livatino, Salvatore Insenga, la reliquia del Beato, la camicia macchiata di sangue che il giudice indossava il giorno dell’omicidio e che sarà esposta per la venerazione dei fedeli nella sua teca argentea dove sono evidenti le scritte “Codice penale – Vangelo”.

Il card. Semeraro, nell’omelia (leggi qui il testo integrale),  ha sintetizzato in due parole, la giustizia e la fede le direttrici della vita e dell’opera di Livatino. “Una giustizia sostenuta dalla credibilità di chi per la giustizia si spende fino a dare la vita”. Ricordando quelle tre lettere “STD, Sub Tutela Dei”, che Livatino “scriveva in pagine particolari e qualche volta ha scritto sovrastato dal segno della Croce”, il cardinale ha affermato: “Livatino è morto perdonando, come Gesù, i suoi uccisori. È il valore autentico delle sue ultime parole (“Picciotti che voi ho fatto?” ndr) dove risentiamo l’eco del lamento di Dio: popolo mio, che cosa ti ho fatto”. Non “un rimprovero”, né “una sentenza di condanna”, ma “un invito sofferto a riflettere sulle proprie azioni, a ripensare la propria vita, cioè a convertirsi”. E tante conversioni ha suscitato in questi anni la testimonianza del beato: “Eroe della legalità”, certo, ma soprattutto “martire di Cristo”, ha detto Semeraro. Come affermava Papa Paolo VI: “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, e se ascolta i maestri è perché sono testimoni”. Ecco, Livatino è stato testimone e testimone “credibile”: “La sua morte non è solo il sacrificio di un rappresentante delle istituzioni ed è stata anche più della uccisione di un magistrato cattolico. Egli è testimone della giustizia del Regno di Dio che affronta il male per salvare vittime e carnefici”, ha affermato il prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi. All’inizio del Rito, il postulatore della causa di canonizzazione, mons. Vincenzo Bertolone, ha ricordato la vita di Rosario Livatino. “Il suo martirio – ha detto – è stato ed è tuttora segno della assoluta, insanabile, inconciliabilità tra Vangelo e mafia”. Il “silenzio” che gli fu imposto oggi è “un canto di lode” e “onora la magistratura”.

Prima della conclusione, ha preso la parola il cardinale Francesco Montenegro, (leggi qui il testo) che ha ringraziato il Papa per aver iscritto nel registro dei martiri questo figlio della terra di Sicilia: “È il primo giudice proclamato martire a motivo della fede professata e testimoniata fino all’effusione del sangue”. “Quanto abbiamo vissuto – ha detto –  ci responsabilizza a testimoniare con coraggio il Vangelo con una vita di fede semplice e credibile come quella del giudice Livatino”, ha aggiunto, esprimendo il concreto auspicio “che questa nostra terra di Sicilia, che purtroppo ancora soffre a motivo della mentalità mafiosa, faccia tesoro di questa lezione”.

Il ricordo del Papa

Durante il Regina Coeli delle ore 12.00, Papa Francesco ha reso omaggio a questo “martire della giustizia e della fede”: “Nel suo servizio alla collettività come giudice integerrimo, che non si è lasciato mai corrompere, si è sforzato di giudicare non per condannare ma per redimere”, ha detto il Pontefice, affacciato dalla finestra del Palazzo Apostolico. “Il suo lavoro lo poneva sempre sotto la tutela di Dio, per questo è diventato testimone del Vangelo fino alla morte eroica. Il suo esempio sia per tutti, specialmente per i magistrati, stimolo ad essere leali difensori della legalità e della libertà.”   (Guarda il video)

 

Il pellegrinaggio alla tomba del Giudice

Nel pomeriggio del 9 maggio il cardinale Marcello Semeraro e il cardinale Francesco Montenegro, unitamente all’arcivescovo coadiutore mons. Alessandro Damiano si sono recati, nel cimitero di Canicattì,  in pellegrinaggio, sulla tomba del beato Rosario Angelo Livatino e sulla tomba del giudice Antonino Saetta e Il figlio Stefano. Inoltre hanno visitato la Casa del Giudice e sostato in preghiera, davanti la stele sulla SS640 luogo dell’agguato il 21 settembre del 1990.

i cardinali Semeraro e Montenegro nella Cappella della famiglia Livatino (foto C.P.)
Sulla tomba del giudice Saetta (foto C.P.)
La sosta davanti la Stele commemorativa
Il reliquiario

Il Reliquiario in argento in cui è custodita la camicia intrisa di sangue  indossata dal beato Rosario Angelo Livatino il giorno in cui venne ucciso è stato realizzato, in argento martellato e cesellato. I libri nascono da due lastre sagomate e fissate con delle lastre perpendicolari rigate che simulano le pagine. Su un telaio che segue il perimetro della teca sono state saldate le palme che fungono da sostegno e fissano la parte superiore del reliquiario. Le pagine e le scritte sono dorate. È stato realizzato dalla ditta Amato sotto la direzione di Alessandro Staiano e su progetto di Alessandro ed Elena Staiano; cesellatore,  Amato Filippo; montatore: Romeo Elio e argentatore: Barreca Salvino

La tela ufficiale

L’immagine del beato Rosario Angelo Livatino, svelata durante il rito di beatificazione, è stata  realizzata da Maria Cardella commissionata dall’Arcidiocesi. Partendo dalle poche foto esistenti del Servo di Dio Rosario Angelo Livatino, si è voluto realizzare una tela di cm 80×100 che ne raccontasse, l’uomo, il magistrato e il credente. La toga sulle spalle richiama al progetto di Dio che Rosario Livatino abbraccia come servizio all’uomo, alla verità e alla giustizia. La mano sinistra, dal lato del cuore, è poggiata su Vangelo e Codice Penale, a volere rappresentare come si sia lasciato guidare, come magistrato, da punti di riferimento certi. L’agendina in mano, da cui non si separava mai e sulla quale annotava le sue riflessioni e ripetutamente STD, sub tutela Dei. La palma, simbolo del martirio, è posta sullo sfondo, quale segno del progetto di Dio. La stessa palma sembra tendere verso il Crocifisso a testimoniare quel processo di conformazione a Cristo. L’artista. Maria Cardella, nasce ad Agrigento nel 1975 e cresce a Raffadali dove si dedica per passione all’arte esercitando con assidua ricerca di colori e luci, la pratica della pittura ad olio. Pittrice autodidatta e amatoriale, esordisce nel 2002 in mostre collettive, personali e concorsi, ottenendo importanti consensi e riconoscimenti da parte del pubblico e della critica. L’originale della tela sarà custodita nel Palazzo Vescovile.

Il video integrale della beatificazione

 

Carmelo Petrone