Don Gioacchino Polizzi è ritornato alla Casa del Padre

Martedì 14 novembre 2017, a Canicattì, all’età di 73 anni è ritornato alla Casa del Padre don Gioacchino Polizzi. 

I funerali sono stati celebrati oggi (mercoledì 15 novembre) nella chiesa madre di Canicatti. A presiedere il rito delle esequie il vicario generale, mons. Melchiorre Vutera, in rappresentanza del card. Montenegro, fuori sede per impegni pastorali, ma unito nella preghiera.

 

Pubblichiamo il testo integrale dell’omelia pronunciata da mons. Vutera:

Abbiamo posto sopra la bara di don Gioacchino il libro della Parola di Dio. Con questo libro egli nella sua vita ha preso confidenza, ne ha letto e meditato le pagine, per comprenderle e gustarle. Dalle pagine di questo libro si è lasciato educare come cristiano. E questo libro, come prete, l’ha ricevuto dal Vescovo nel giorno della sua ordinazione diaconale, con il mandato di diventarne l’annunciatore convinto e credibile. Quante volte lo ha letto, spiegato e commentato invitandovi a prestarvi ascolto attento e docile. Ora – ha detto il vicario –  faremmo torto a don Gioacchino se non cercassimo, anche noi, di vivere il doloroso distacco da lui, l’evento della sua morte, lasciandoci illuminare e confortare dalle verità contenute in queste pagine.

La prima lettura è tratta dal libro del profeta Isaia.

Il Profeta ci pone davanti agli occhi il “servo di Dio”: figura misteriosa con la quale viene indicato Gesù. Egli è paziente e tutto accetta con abbandono obbediente.

Non mi sono tirato indietro, non ho opposto resistenza”, dice questo servo. Egli sa di essere con Dio e che Dio, il Padre, è con lui. “Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto confuso”. Con questa certezza non si perde di coraggio e scommette sulla vittoria finale.Anche nelle esperienze difficili, che deve affrontare, per portare a compimento la sua missione, guarda in avanti, sicuro di camminare verso la completa vittoria.

Gesù conosceva bene queste parole del profeta, sapeva che facevano parte della sua carta di identità. Anche lui “ha reso dura la sua faccia”; ha vissuto la sua vita “in salita”, con fermezza, e ha invitato i suoi discepoli ad andargli dietro per questa stessa strada, con fiducia, imitandolo nella fedeltà fino in fondo.

Don Gioacchino è uno che ha accettato di seguire Gesù, di rispondere generosamente alla sua chiamata e di far proprio il suo stile di vita di obbedienza e di servizio. In tutto questo è stato facilitato dalla fede solida respirata nella sua famiglia e dall’educazione ricevuta in seminario.

La sua vocazione è maturata nella Congregazione Religiosa “Società Divine Vocazioni” e come sacerdote vozazionista ha vissuto i primi dieci anni del suo ministero sacerdotale.

Ordinato Presbitero il 9 marzo 1969, per le mani di Mons. Giuseppe Petralia,  per un anno è stato Vicario Cooperatore della parrocchia Sacra Famiglia in Canicattì e parroco prima della stessa parrocchia dal 71 al 72 e poi, dal 72 al 76 parroco della parrocchia S. Giuseppe Artigiano in Favara e dal 76 al 77 Vicario Cooperatore della Chiesa Madre di Sciacca e nel 79 Parrocooco della Parr. Maria Ausiliatrice in Canicattì.

Il 26 marzo 1980, chiede ed ottiene l’incardinazione come sacerdote diocesano di Agrigento. Il Vescovo lo riconferma parroco della stessa parrocchia M. Ausiliatrice sino al 1988. Dal 1986 sino al 2009 ha svolto il suo ministero come cappellano dell’ospedale di Canicattì, quando, per motivi di salute, ha dovuto ritirarsi a vita privata continuando a prestare lodevolmente il suo servizio sacerdotale ai parroci che avevano bisogno, sino a quando la malattia glie lo ha permesso. Ieri, dopo una lunga malattia vissuta con fede, il Signore lo chiamato a sé.

 

Il Vangelo di Giovanni ci ha presentato Gesù, come il buon pastore. E’ consolante l’immagine di Gesù, il pastore buono e bello delle pecore.

Il cristianesimo è tutto qui: consiste nel lasciarsi condurre docilmente dal Signore Gesù, dal seguire giorno per giorno Colui che ci precede, dal mettere le nostre orme nelle sue.

Prima di essere pastori, noi sacerdoti siamo sue pecore e tali rimaniamo anche quando riceviamo il ministero pastorale: è Lui, infatti, il solo, unico, grande Pastore delle pecore, che riversa la sua attenzione e le sue sollecitudini su quanti egli sceglie e chiama. E’ Gesù stesso che rende possibile la sua sequela solo perché colui che è stato scelto si sente riconosciuto tra mille, amato e chiamato per nome.

Il segreto di ogni chiamato consiste proprio in questo, nell’avvertire che, nonostante la propria debolezza, il Signore conta su di lui, si fida di lui, gli affida le sue pecorelle, a cui chiede di dare la vita, come l’ha data Lui.

Don Gioacchino – ha proseguito mons. Vutera –  nella sua semplicità, avvertiva di essere stato scelto immeritatamente e riconosceva che questa era la più grande grazia che il Signore gli aveva concesso. Era felice di essere sacerdote.

Un prete  senza pretese, ma amante del suo gregge e vicino alla  gente. Innamorato di Dio, al quale ha consacrato tutta la sua vita e le sue energie;

Innamorato della gente semplice e bisognosa. Ricordiamo il suo grande cuore di padre, fratello e amico di tutti, che è stato l’espressione più chiara della sua pastoralità. A quanti ha fatto sentire l’afflato del suo amore, della sua attenzione e della sua carità! Capace di saper interpretare la pastorale con il sapere stare in mezzo ai giovani, alle famiglie, sempre, con semplicità e giovialità, ma soprattutto ai poveri, agli ultimi, agli ammalati durante il suo ministero nella Parrocchia Maria Ausiliatrice e poi in ospedale. Per tutti aveva un aiuto, una carezza, un sorriso, una parola di conforto. Per lui essere sacerdote significava parlare con le persone, avere tempo per ascoltare i loro problemi, lasciarsi coinvolgere da ciò che ascoltava.

Fedele a Dio e al suo ministero sino all’ultimo, quando la malattia è venuta a provare la sua resistenza, e gli ha consentito di dare a tutti  testimonianza di fedele accettazione della volontà di Dio.

Abbiamo ascoltato nel salmo 123 che “gli occhi del servo sono sempre fissi ai cenni del suo signore, del suo padrone”.

Don Gioacchino  non ha staccato gli occhi da Cristo mai. Ha cercato di essere immagine e presenza di Lui. E lo è stato soprattutto in questi ultimi anni, nei quali ha portato a compimento il suo sacerdozio. Con una faticosa via crucis il Signore lo ha fortemente stretto a sé, nell’esperienza della malattia. Gli ha chiesto questa “obbedienza”: diventare partecipe della sua passione. E giorno dopo giorno, con il passare delle settimane, don Gioacchino gli ha detto ancora il proprio “eccomi”. “Non si è sottratto-non ha opposto resistenza”.

Ritengo di poter affermare – ha proseguito il vicario – , confortato dalla testimonianza dei confratelli presbiteri e di tanti di voi, che don Gioacchino ha accettato la malattia con fede, ha accettato di essere prete per voi, per la Chiesa, anche con il patire, in silenzio,attento a non voler far pesare su nessuno la sua sofferenza. Non si è vergognato della sua malattia e, sino all’ultimo, pur visibilmente sofferente, ha voluto partecipare alle varie celebrazioni  dando testimonianza dell’amore che lo univa a Gesù sofferente.

In questo calvario è stato amorevolmente sostenuto e servito dal fratello e dalle sorelle, chè lo hanno circondato di amore, di premurose attenzioni, dando testimonianza di gioiosa accoglienza a coloro che lo avvicinavano.  Anche per questa cristiana testimonianza diciamo grazie a don Gioacchino, ma anche al fratello e alle sorelle e familiari tutti.

Perciò nel momento in cui, con questa celebrazione, diamo il saluto a don Gioacchino, ringraziamo il Signore per averci dato un sacerdote laborioso e silenzioso, che però tanto ha parlato a noi con la sua vita integra, con la sua sofferenza lunga, con la sua fede granitica.

L’addio a don Gioacchino – ha concluso mons. Vutera –  ci corresponsabilizzi  nella comunione ecclesiale, ci rafforzi nella spiritualità presbiterale e ci faccia invocare il Signore perché mandi vocazioni alla nostra chiesa che è in Agrigento”.

Carmelo Petrone