Messaggio dell’arcivescovo per il Venerdì Santo, Montenegro: “Lamentarsi è autoaccusarsi”

Ritorna a parlare della flebile fede che contraddistingue i nostri giorni, sottolineando come vi sia un “deficit di fede, ma è altrettanto evidente il deficit di cittadinanza attiva e responsabile”, l’arcivescovo di Agrigento Francesco Montenegro nel tradizionale messaggio alla città dal sagrato della chiesa San Domenico al termine della processione serale con i simulacri di Cristo morto e Maria addolorata.

Ma parla anche dei nuovi falsi profeti, con un riferimento alla politica nazionale, e di come “cavalcando l’onda della paura, afferma che il problema sono i poveri-cristi che vengono dai sud del mondo. Non riesco a convincermi. È possibile che il problema sono ancora i migranti e i poveri, dato che come dice ormai i loro arrivi si sono ridotti sensibilmente? Perché chi decide la sorte di quella gente non ci parla delle carceri, delle torture, dei morti della Libia, del mare, del deserto? Ma di questa situazione i popoli civili non hanno nessuna responsabilità? E quanto sta avvenendo ora nella Libia? Perché i profeti non ci parlano, con la stessa veemenza dell’illegalità, della corruzione, delle mafie che dilagano. Mi sbaglio senz’altro, Signore? Compatiscimi, capisco così poco!”.

E poi le figure da prendere come modello ed esempio da seguire, don Pino Puglisi, Rosario Livatino e la giovane Maria Chiara Mangiacavallo, richiamando tutti alla propria responsabilità di uomini e donne di fede e di cittadini attivi in questa terra che ci è stata affidata e di cui dovremmo prenderci cura.

Ecco il testo integrale del messaggio dell’arcivescovo.

Signore Gesù,
in questa notte agrigentina, Venerdì Santo di morte e salvezza, ci stringiamo a Te: “uomo dei dolori che ben conosce la sofferenza”; sfigurato a tal punto, da non attirare lo sguardo; privato come sei di dignità e di bellezza (cfr Is 53,2-3). Gesù, nonostante tentiamo di girare lo sguardo altrove per non fissarlo sulla dura realtà della croce, Tu però non stancarti, dalla posizione elevata e scomoda in cui ti trovi, di fissare lo sguardo su di noi. Il Tuo sguardo, che penetra nelle profondità dell’essere e della storia, non umilia, non giudica e non condanna ma incoraggia, libera, consola, guarisce, salva.
A pensarci bene, la Tua passione, Signore, è un continuo incrocio di sguardi: Giuda, Pietro, Pilato, il malfattore che si pente, i soldati, Barabba, Erode, Tua Madre, le donne, Simone di Cirene. Sguardi palesi e furtivi; di compassione e di sdegno; di compiacimento e di pena.
Gli occhi scrutano, accusano, catturano, comunicano vita e amore, ma sono anche capaci di odio e di morte. Il Tuo sguardo, Signore Gesù, per noi è come un abbraccio di tenerezza e misericordia che ci avvolge. Sai, ne abbiamo un enorme e urgente bisogno, abbiamo bisogno di Te che sei luce (cfr Gv 8,12), abbiamo bisogno della Tua luce per poter e saper usare gli occhi. Come è diverso il Tuo sguardo da tanti altri, falsi, che spesso si poggiano su questa nostra terra, fingendo di guardarla con interesse ma in effetti illudono, perché sono pieni di interesse: quante promesse abbiamo ascoltato di sviluppo umano, di salvaguardia e promozione del territorio, di correttezza e impegno per il bene comune… promesse che poi puntualmente vengono disattese, e si risolvono in tanti, troppi casi, nella ricerca del profitto personale, o di congreghe e clientele varie, nel malaffare dei mafiosi, negli intrallazzi della corruzione, nei cavilli procedurali di una lenta, lentissima e paralizzante burocrazia. Sono come le bolle di sapone, delicatamente colorate che, all’ inizio creano curiosità e stupore, ma poi improvvisamente scoppiano e ti lasciano con niente in mano, come succede ai bambini che giocano. Ma questo è un gioco che gli adulti non si possono permettere! Tante promesse fatte e intanto nella nostra terra i poveri diventano sempre più poveri; le famiglie perdono casa e lavoro; ai giovani si scippa speranza e futuro; nel Mediterraneo si continua a morire; le costruzioni si sgretolano e cadono a pezzi nei centri storici; le reti viarie, urbane ed extraurbane, diventano dei veri “colabrodo”; si sfilaccia sempre di più il tessuto sociale; il territorio si spopola, l’ emorragia da emigrazione sembra inarrestabile (gli ultimi dati a mia conoscenza parlano di circa 155.000 emigranti di questa terra. La provincia di Agrigento è la seconda per residenti all’estero); si surriscalda il clima di litigiosità e violenza, che penosamente si risolve, in alcuni casi, nell’ eliminazione dell’altro: penso a Vincenzo Busciglio di Alessandria della Rocca, ucciso a metà marzo, e a Marco Vinci, ucciso a Canicattì, nel 2018: tutti e due la stessa età, 22 anni, tutti e due accoltellati. Ma non meno preoccupanti sono gli altri delitti, ai danni di persone e del patrimonio, avvenuti nei diversi centri della provincia. E che dire dello scempio del paesaggio naturale, violentato dall’avidità dell’accaparramento della terra. Mi chiedo se la coppia Fustaino, travolta ed inghiottita da una frana a Cammarata, nello scorso novembre, più che vittime della natura, non lo siano state della scarsa umanità dell’uomo? Il non rispetto per gli altri e per il creato è chiaro segno di disumanizzazione e di grave imbarbarimento.
Qualche profeta oggi, cavalcando l’onda della paura, afferma che il problema sono i poveri-cristi che vengono dai sud del mondo. Non riesco a convincermi. È possibile che il problema sono ancora i migranti e i poveri, dato che come dice ormai i loro arrivi si sono ridotti sensibilmente? Perché chi decide la sorte di quella gente non ci parla delle carceri, delle torture, dei morti della Libia, del mare, del deserto? Ma di questa situazione i popoli civili non hanno nessuna responsabilità? E quanto sta avvenendo ora nella Libia? Perché i profeti non ci parlano, con la stessa veemenza dell’illegalità, della corruzione, delle mafie che dilagano. Mi sbaglio senz’altro, Signore? Compatiscimi, capisco così poco!

Più volte Gesù, ho provato la sensazione che questo territorio e la Chiesa che lo abita siano impegnati nel ricordare una storia e una fede che non ci sono più, e curvi su tale ricordo, finiscono per addormentare la carica di futuro che tu ci vuoi trasmettere con la tua Pasqua. È come se si faccia a gara per ridurre la riserva di speranza che dovrebbe far guardare al futuro, sapendo bene che il futuro arriva solo se c’è la speranza. Qui da noi i verbi al futuro sembrano assenti dalla grammatica della vita e così ci si appiattisce su un presente, tanto cupo quanto triste, di cui ci si lamenta, utilizzando anzi le lagnanze come balsamo per acquietare le coscienze.
Non mi stanco di ripeterlo: Agrigento siamo noi! Lamentarsi è autoaccusarsi! Tu stesso, Signore, ci hai avvisati sull’inutilità di piangere sulle rovine di Gerusalemme.
Non c’è dubbio che ci sia un deficit di fede, ma è altrettanto evidente il deficit di cittadinanza attiva e responsabile. Costruire la città ‘nuova’ non è un compito delegabile ma nemmeno rimandabile. La nostra Cattedrale, da poco riaperta, al di là del suo valore religioso, è testimone prezioso di sguardi e di visioni proiettati in avanti, non è un museo ma una finestra, volta su un futuro da costruire giorno per giorno, mattone dopo mattone: è ricordo ed eredità della tenacia dei nostri padri, è seme di vita per noi e per le generazioni che verranno e che su di essa, sulle sue radici, dovranno edificare la novità di una storia nuova.
In questo momento il pensiero, Signore, va ai nostri fratelli parigini, duramente provati dal dolore per l’incendio di Notre-Dame. Le Cattedrali, come le nostre mamme sono la nostra carne, la loro malattia o la loro morte è una ferita che sanguina senza mai cicatrizzarsi. Noi lo sappiamo bene!

Il tuo sguardo, Gesù, ha permesso a tanti uomini e donne da Te incontrati di cambiare vita: penso alla samaritana (cfr Gv 4,5ss), all’adultera (cfr Gv 8,1-11), a Zaccheo (cfr Lc 19,1-10); a Bartimeo (cfr Mc 10,46-52); alla figlia di Giairo (cfr Mc 5,21-43;), al figlio della vedova di Nain (cfr Lc 7,11-17), e a Lazzaro (cfr Gv 11,1-44)… La tua Pasqua, primavera della chiesa, ha comunicato l’ energia della nuova stagione, a Pietro e Paolo, a Libertino e a Gerlando, a Rosario Livatino e a Padre Pino Puglisi; a Chiara Mangiacavallo, la ragazza di Sciacca che si è preparata alla sua morte come a una festa.
Signore, sentendo il tuo sguardo d’amore su di noi, Ti presto la mia voce perché Tu dica forte a me e alla mia gente: anche voi Agrigentini potete costruire nuove reti di fraternità, anche voi potete tessere relazioni nuove e rinnovate. Credeteci! Desideratelo! Osate!
Dicono gli africani: ‘Attacca il tuo aratro a una stella’. Impariamo a farlo! Lanciamo i nostri cuori in avanti e seguiamoli: è la condizione per costruire un bel futuro.
Sentiamo la voce di Maria, la Mamma addolorata, che anche Lei come il Figlio ci ripete: Agrigento scuotiti! Alzati! Risorgi!