Il card. Montenegro ordina tre diaconi: “sentitevi fieri di servire nella e la Chiesa” (VIDEO)

Sabato 30 dicembre 2017 dalla Parrocchia San Nicola in Fontanelle (Agrigento) il card. Francesco Montenegro ha presieduto il rito dell’ordinazione diaconale di  tre giovani del Seminario di Agrigento: Riccardo Scorsone, della parrocchia San Nicola di Fontanelle, Pastor Mgeni e Benjamin Mlawa della diocesi di Iringa (Tanzania)

Il rito è stato concelebrato da diversi presbiteri  provenienti dalle parrocchie dell’arcidiocesi di Agrigento, soprattutto quelle dove i neo diaconi hanno svolto il ministero dell’accolitato.

Erano presenti, anche,  numerosi laici, presbiteri e religiose africani che non hanno mancato di far sentire, in particolare a Pastor e Bejamin, il calore e l’affetto dei loro cari e della chiesa di Iringa; anche il coro parrocchiale,  che ha animato la liturgia, ha eseguito dei canti in lingua swahili.

Al rito era presente inoltre, don Leonardo Falco,   rettore del Seminario si Scutari (Albania) dove Riccardo Scorsone sta completando il sesto anno pastorale. Sia gli amici tanzaniani che quelli in Albania hanno potuto seguire il rito dell’ordinazione diaconale grazie alla  diretta streaming, su questo sito e sul sito del settimanale L’Amico del Popolo,  a cura  del Centro per la Cultura e la Comunicazione dell’arcidiocesi di Agrigento (vedi il video). 

Una bella e intensa celebrazione dal respiro universale , che ha unito la Tanzania e l’Albania ad Agrigento, quasi a ricordare che la Chiesa è cattolica e missionaria per vocazione.

Al termine della celebrazione – dopo il saluto del rettore del seminario di Scutari, don Leonardo  (vedi)  e quello del rettore  del seminario di Agrigento, don Baldo Reina (vedi il video) – è seguito, nei locali della parrocchia, un momento di festa con un rinfresco e un momento particolare con canti e danze africani eseguiti dalle suore.

L’Omelia dell’arcivescovo Francesco Montenegro: “Conservate in voi sempre lo spirito missionario” 

“Fare Natale – ha detto l’arcivescovo durante l’omelia –  è incontrare il Salvatore che viene a perdonare i nostri peccati. Grazie a questa venuta la nostra povertà diventa il luogo privilegiato in Dio in cui ci incontra e si fa riconoscere per quello che è: misericordia. Il Bambino di Betlemme viene a ristabilire l’amicizia tra Dio e l’uomo e a rassicurarci che Dio non è indifferente né è un dominatore, ma l’origine della vita e la sorgente dell’amore. Ci fa pure scoprire che suo Padre è nostro Padre e Lui è nostro fratello. Viene a cancellare il triste convincimento di non essere degni di Dio, o di considerare Dio un concorrente geloso della nostra gioia. Purtroppo anche Lui rientra in quello che sta divenendo un pensiero comune, quello di non voler dipendere da nessuno, neppure da Lui. Si crede di poter fare a meno di Dio … e i risultati di come vanno le cose nel mondo sono evidenti. S. Giovanni ci consiglia di “rimanere in eterno”, di desiderare cioè ciò che è grande, l’eternità, e di “fare la volontà di Dio”, ma non da rassegnati, ma aggrappandoci a Lui, alla sua forza e alla sua vita. Così come i tre di Nazareth e quanti hanno creduto e credono in Dio. Il Vangelo, per esempio, oggi ci consegna la figura di Anna. Chi ha fede entra da protagonista nel progetto di Dio, e malgrado le molte difficoltà, lo porta avanti e lo difende coraggiosamente”. Si è poi rivolto a Benjamin, Pastor, Riccardo:

“Anche voi – ha detto –   con l’ ordinazione diaconale siete chiamati a entrare in questo progetto, anzi a esserne servitori per aiutare gli altri a scoprirne e sentirne la bellezza.

Tra poco – ha proseguito – vi consegnerò il Vangelo. Papa Francesco vi direbbe di annunciarlo non solo per vanto, ma – come scrive Paolo – come “obbligo”. Fatelo con lo stile che deve accompagnarvi per tutta la vita. Lo stile del “farsi tutto a tutti”, del “condividere la vita degli altri, accompagnarli e farli crescere nel cammino della fede”. Evangelizzare è insegnare le cose di Dio ma anche testimoniarle, possibilmente senza troppe parole perché queste a volte sono ingombranti. E quando ne parlerete, mostrate, eseguendola, che la salvezza è qualcosa di concreto. Cosa voglio dire? Se parlerete, per esempio, della tenerezza di Dio fate capire il Suo amore testimoniandone “in concreto” la presenza nella vostra vita offrendo “il servizio” – che è amore a fatti e non a parole – non come optional o un modo per dimostrarvi buoni, ma come parte integrante e necessaria della vostra vita e del vostro ministero. La carità, quando è genuina, manifesta la verità di Cristo, senza attenuarla o lasciarla cadere in ingannevoli compromessi. L’evangelizzazione è questione di amore, fa incontrare gli uomini con l’ amore di Cristo e fa scoprire il servizio come una dimensione dell’intera vita, senza ridurlo a un frammento del proprio tempo e del proprio agire. Servire è un modo di esistere, uno stile che ha le radici nel profondo del cuore.

Quando parlerete di Dio, – fatelo dopo essere stati vicino all’altare e all’Eucaristia – preoccupatevi di risvegliare in chi avvicinate la speranza, ingrediente necessario per una vita dignitosa. Fate sì che l’ossigeno del Vangelo e il soffio dello Spirito immettano spifferi di vita nuova nei nostri ambienti e nel mondo.

Sentitevi – ha proseguito –  fieri di servire la Chiesa e nella Chiesa, sentitela e vivetela come casa vostra, con le porte sempre aperte, in modo che chi vuole vi trovi accoglienza e calore e respiri profumo di amore e speranza, e chi esce porti fuori tale amore e speranza. Non dimenticate l’invito del Papa a “recuperare la freschezza originale del Vangelo”, a trovare “nuove strade” e “metodi creativi” e soprattutto a non imprigionare Gesù in “schemi noiosi”. Conservate in voi sempre lo spirito missionario. Vi dico intanto grazie perché in questa celebrazione ci arricchite portando tra noi la memoria dell’Africa e dell’Albania. Siate sempre aperti, ovunque vi troverete, alla missione e alla carità per evitare che il vostro annuncio resti monco, col risultato di non fare incontrare Dio alla gente. Che tutti vi riconoscano e stimino perché avete il cuore di missionari e di servi: sia questo il vostro identikit discepoli.

Il servizio, in sé, non è una virtù ed è tra le parole più usate. Fanno servizio il fornaio, il negoziante, il ferroviere … Ma il vostro è diverso, perché scaturisce dalla carità e si offre gratuitamente; è l’espressione più grande dell’amore. Manifesta l’amore che “non cerca il proprio interesse” ed è partecipazione e imitazione dell’agire di Dio che ama, benefica e non fa mancare a nessuno la Sua carezza. Il servizio ha le radici nella misericordia – carità pensata in grande – e quando ne è pregno diventa forza che non solo lenisce le sofferenze dell’uomo ferito ma cambia la vita e trasforma il mondo. Non consideratelo mai come scontato e non compitelo per dovere, né fatelo diventare routine ma sia la scelta libera di ogni giorno; cosi diventerà via di santità e sentirà il bisogno della prossimità all’altare. Sentitevi responsabili delle persone che avvicinerete. Il servizio non è solo questione di generosità, ma è sguardo attento e premuroso, come quello del samaritano. La generosità da sola non è ancora il servizio, non lo è neppure lo slancio di un momento, anche se sincero. Il servizio non si improvvisa, ma si costruisce: richiede competenza e una solida attrezzatura morale. Scrive il Papa, “se nella mia vita tra­lascio completamente l’attenzione per l’altro, volendo essere solamente “pio” e compiere i miei “doveri religiosi”, al­lora s’inaridisce anche il rapporto con Dio” … Solo il servizio al prossimo apre i miei occhi su quello che Dio fa per me e su come Egli mi ama” (DC 18).

Senza la carità e la testimonianza, l’annuncio del Vangelo, che resta la prima carità, rischia di restare incompreso o di affogare in un mare di parole senz’anima. La carità delle opere assicura una forza precisa alla carità delle parole.

Permettetemi – ha concluso l’Arcivescovo – un’altra considerazione. Il servizio fa pensare ai “poveri”. La necessità del servizio al povero è una nota dominante nella Bibbia. Nel Vangelo in ogni pagina s’incontrano i poveri. Sono l’obiet­tivo numero uno del regno, lo afferma Gesù nel discorso alla Sina­goga di Nazareth (Lc 4). Nelle prime comunità cristiane si evitava che qualcuno tra loro fosse bisognoso (At 4,34). Siate come Gesù che è preso “alle viscere” alla vista della vedova cui risuscita il figlio morto (Lc 7,13), della folla a cui dà il pane (Mt 15,32ss), che acco­glie i bambini (Mc 10,13-16), parla con la samaritana (Gv 4,1ss), perdona la peccatrice (Lc 7,36ss) e l’adultera (Gv 8,lss). Non si limita però a soffrire coi poveri ma invita alla conversione (Lc 19,1ss) e punta il dito contro la disonestà, contro chi approfitta dei beni delle vedove, e chi ha reso il Tempio “una spelonca di ladri” (Mc 11,17). Abbiate coraggio nel vostro ministero, rifiutate decisamente gli inviti alla falsa prudenza che vi faranno i confratelli che si dicono amici senza esserlo o i buoni laici perbenisti. Siate fieri di avere l’ ambizione di mettere la vostra vita al servizio del bene di tutti.

Maria vi sia modello di servizio, di gioia e di disponibilità alla volontà del Padre. Imitatela e pregatela, tenetela come compagna nel cammino che vi porterà al traguardo del presbiterato”.

Gli auguri e il grazie del rettore del seminario di Agrigento, don Baldo Reina

Prima della benedizione finale il rettore del seminario di Agrigento, don Baldo Reina ha tenuto un discorso di ringraziamento (Che pubblichiamo) e dei suggestivi auguri ai neo diaconi.

“”Carissimo Padre Vescovo, a conclusione di questa bella e intensa celebrazione eucaristica – ha esordito don Baldo –  desidero sottrarre ancora qualche minuto per manifestare i sentimenti di gioia e di gratitudine che porto e portiamo nel cuore. Lo faccio a nome della famiglia del Seminario – formatori e seminaristi – dei sacerdoti presenti, delle comunità e delle famiglie dei tre neo-diaconi: Riccardo, Pastor e Benjamin.

Desidero partire da una frase dei Vangeli della natività che abbiamo ascoltato durante la notte di Natale; dice l’angelo ai pastori: “Non temete: vi annuncio una grande gioia che è di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia” (Lc 2,12). Poco fa, durante il rito di ordinazione, nel momento in cui i nostri diaconi hanno indossato la stola quest’espressione mi è risultata ancora più forte. Quelle stole, infatti, segno del servizio concreto al quale è chiamato il diacono, mi sembravano l’attualizzazione delle fasce con cui è stato avvolto Gesù Bambino. Potremmo dire di voi tre – carissimi Riccardo, Pastor e Benjamin – che come l’Emmanuele, da oggi e per sempre, siete stati avvolti in fasce. Sono le stesse della croce e della Risurrezione, dell’offerta di voi stessi e del germoglio della vita nuova che voi siete chiamati a annunciare con gli impegni oggi assunti. Il nostro grazie al Signore perché a questa amata chiesa agrigentina, ancora una volta, ha dato conferma di amore e di fedeltà avvolgendola in fasce e deponendola nella mangiatoia della storia. Il grazie più sincero alle tante persone di cui il Signore si è servito per intagliare queste fasce: le famiglie di origine e in particolare il papà di Benjamin che partecipa dal cielo a questa celebrazione, lei carissimo Padre Vescovo e il Vescovo di Iringa Tarcisius per la presenza paterna e amorevole, le parrocchie dove questi giovani hanno mosso i primi passi, i sacerdoti che li hanno introdotti alla vita di fede, i seminari di Iringa, il nostro e quello di Scutari dove Riccardo sta completando gli studi – e di cuore ringrazio il Rettore, don Leonardo, per aver preso parte a questa celebrazione – i docenti, gli amici del Seminario, le realtà dove hanno avuto modo di fare esperienze pastorali (l’ospedale, il carcere, le famiglie di Villaseta, l’associazione Mondo X, Suor Caterina e i suoi collaboratori); un grande grazie alle famiglie che hanno accolto e sostenuto Pastor e Benjamin sin dal loro arrivo qui ad Agrigento – in particolare la comunità del Villaggio Peruzzo e quella di Alessandria della Rocca. Un grazie di cuore a questa comunità di Fontanelle che oggi ci ospita diventando per un giorno la nostra Cattedrale. Grazie per il lavoro di tanti volontari che si sono adoperati per far si che la festa di questa giornata fosse completa in tutti i suoi aspetti. Grazie agli amici dei nostri diaconi che ci hanno raggiunto da diverse parti d’Italia testimoniandoci tanto affetto: Roma, Bergamo, Cremona, Bologna, Catania. A tutte le persone che hanno agito e pregato nel silenzio chiedendo per loro tre il dono di una vita santa e di una scelta autentica, la gratitudine sincera. Tutti hanno contribuito a dare forma a quelle fasce che oggi sono state poste sulle loro spalle.

La Provvidenza – ha concluso don Baldo –  ha voluto che questa celebrazione avesse un respiro universale. Pastor e Benjamin testimoniano il cammino di fede non solo della loro diocesi di Iringa, ma, in qualche modo, di tutto il continente africano con le immense risorse che possiede e, al tempo stesso, con le mille tragedie che ogni giorno lo segnano profondamente portando fino a noi il grido di dolore di tanti nostri fratelli. E Riccardo, per la disponibilità a completare gli studi in terra di Albania, ci ricorda quella zona dell’Europa alla quale continuiamo a guardare con interesse nella speranza di condividere la fede che abbiamo in comune. Per questi motivi, oggi, ci sentiamo immersi in questa prospettiva di cattolicità che va dalla Tanzania all’Albania. Facendoci il dono di tre nuovi diaconi è come se il Signore ci chiedesse di continuare ad essere una chiesa aperta, missionaria, dal cuore grande, capace di guardare lontano e di sognare profeticamente ciò che ancora non ha raggiunto; una chiesa che si sente avvolta dalle fasce della misericordia e della bontà e non si stanca di avvolgere ogni fazzoletto di terra con la stola dell’annuncio del Vangelo e del servizio agli ultimi. Questo diventa il nostro augurio per Lei, caro Padre Vescovo, per i nostri tre diaconi, per la nostra chiesa agrigentina e per tutti i presenti a poche ore dal nuovo anno: che, davvero, guardando alle fasce del Bambino di Betlemme e alle stole diaconali possiamo sentirci avvolti e abbracciati dalla tenerezza di Dio e, a nostra volta, non esitiamo un solo istante a diventare servi dell’uomo, a stare in ginocchio davanti a chi soffre per capire meglio il mistero della vita, a stare piegati davanti al povero per capire meglio il mistero di un Dio povero, nato in una grotta, avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia”.

Auguri

 

 

Carmelo Petrone

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