Venerdì santo – Montenegro: «Dire non mi interessa è una colpa»

Partendo dal brano evangelico (Lc 23,42), in cui il buon ladrone chiede a Gesù di ricordarsi di lui, l’arcivescovo di Agrigento, card. Francesco Montenegro, ha iniziato il tradizionale messaggio rivolto alla città di Agrigento al termine della processione del Venerdì santo in piazza San Domenico. E proprio da quel “Gesù, ricordati di me…” che l’arcivescovo ha sottolineato come «Questo ci incoraggia perché, anche quando sembra di essere alla scadenza dei tempi supplementari di una partita, è possibile ancora vincere. Come è stato per lui. In questa notte particolare – ha proseguito l’arcivescovo – mi chiedo: E noi agrigentini, Gesù, ci siamo decisi a giocare seriamente la nostra partita? Il nostro territorio e la nostra Città, si sono decise a scalare la classifica del bene comune?! So bene che non sempre la palla può finire in rete, potrebbe anche colpire i pali o il loro incrocio, tuttavia questo non può essere un motivo per non provarci. Il non scendere in campo sarebbe disastroso: infatti l’immobilismo facile, comodo e colpevole paralizza, fa registrare continue decadenze, porta sempre più in basso. Dobbiamo convincerci che, tra il male comune, che a torto si dice sia mezzo gaudio, e il bene comune, non ci sono vie di mezzo. Dire: non mi interessa, non è affare mio, è una colpa».

Ricordando la visita di Papa Giovanni Paolo II, (quest’anno si celebrano i 25 anni) in cui vennero presentati al Pontefice i problemi del territorio ma in cui lo stesso Papa presentò le piaghe della società di quei tempi, l’arcivescovo Francesco si è chiesto se quelle problematiche, quelle piaghe sociali siano, dopo 25 anni state risolte: «Sono parole – ha detto il card. Montenegro – che restano attuali come se, da allora, fosse cambiato poco. Certo, le nostre strade non sono più bagnate di sangue come nei tempi passati, ma si continua a togliere vita. La crisi sociale continua a segnarci: ai problemi ricordati se ne sono accumulati altri, penosamente irrisolti, sfiorati solo nelle buone intenzioni di convegni, tavoli di lavoro, interviste ma, rimasti insoluti».

Ma a queste se ne sono aggiunte altre come ricorda l’arcivescovo continuando nel suo messaggio: «I centri storici di questo territorio continuano a cadere a pezzi, anziché essere fonte di aggregazione sociale, generatori di cultura e occasione per la creazione di nuovi posti di lavoro, come avviene in centri lontani e vicini a noi. L’acqua e il suo ciclo (distribuzione, depurazione) più che un diritto di tutti rischia di diventare un lusso di pochi. Il nostro territorio è ferito da scempi e da abusivismo, il conto salato che ci tocca pagare sono gli smottamenti, le frane, gli scivolamenti a valle di costoni, il rischio crollo di case, ponti, strade e anche di antiche e splendide opere come la nostra Cattedrale».

Ma l’arcivescovo ha voluto evidenziare come, sia diventato ormai necessario “mettere mano” a un’«emergenza trascurata per molti anni da tutti: politici, tecnici, burocrati, cittadini, e che ora è insistentemente alla ribalta: i rifiuti urbani. Per troppo tempo abbiamo fatto affidamento sulle discariche creando bombe ecologiche a orologeria. È vero che la responsabilità può essere addossata ai disservizi. Ma a un segno di civiltà come la raccolta differenziata – ha detto l’arcivescovo – si contrappongono i vergognosi cumuli abusivi di rifiuti indifferenziati in diverse parti del territorio e della città. Quella fila di sacchetti di immondizia che costeggiano le nostre strade non la creano di sicuro nemici immaginari, ma l’irresponsabilità di chi non ama la sua città e questa terra, i suoi concittadini e conterranei. Ci si sente liberi di gettare la qualunque per strada, senza pensare agli altri che la abitano e che hanno il diritto di vivere nell’ordine e con dignità. Però tutti pretendiamo una città pulita. Probabilmente anche chi getta il sacchetto per strada. Gesù – ha sottolineato rammaricato il card. Montenegro – distruggiamo con la nostra incuria e indifferenza il territorio, che dovrebbe essere fonte della nostra ricchezza, e poi piangiamo perché i figli di questa terra sono costretti a emigrare».

E non ha voluto dimenticare i giovani di questa terra, quelli che sono costretti ad andare via e quelli che rimangono. «A proposito di figli, tu sai bene che i giovani – ha detto l’arcivescovo Francesco – sono il vero pianto di questa terra. Loro fuggono, perché costretti dallo scippo che subiscono di futuro e di speranza. Cade, per esempio, come tegola sulla loro testa, e diventa un ulteriore motivo ad andarsene, la continua instabilità del Polo Universitario. Chiuderà? Resterà? Sì? No? È un’agonia infinita, ma la sua morte sembra avvicinarsi sempre più. A pagare il prezzo di tanta e grave situazione generale sono soprattutto i giovani. Perché dovrebbero rimanere? Su quali prospettive future possono contare? Quali incentivi hanno per costituire giovani famiglie? Gesù ti imploro: ricordati di noi. Ricordati di questa terra tanto bella quanto triste. Non è giusto che rimanga inchiodata nelle code delle classifiche per vivibilità e salubrità. Tu l’hai pensata bella, ricca e ingegnosa. Il disagio dilaga, e non si può girare la faccia dall’altro lato. Anche da noi c’é il bullismo e il cyberbullismo, spesso velato, che non lascia indenni i nostri ragazzi. Te ne accenno stasera, perché alcune volte sembra di avere gli occhi chiusi, o meglio fingiamo di non vedere e angelicamente noi adulti affermiamo che, dalle nostre parti, nei nostri paesi, certe cose non succedono. Ma come si fa a non vedere – penso soprattutto ai genitori – i nostri adolescenti, poco più che bambini, “posteggiati” in luoghi delle città con la bottiglia o lo spinello in mano sino a notte inoltrata? Gesù, ancora una volta, ricordati di noi».

Ma l’arcivescovo ha voluto anche ricordare i tanti frutti positivi di questa terra, dal giudice Rosario Livatino a Maria Chiara Mangiacavallo, due giovani che hanno donato la loro vita. «Signore, non dirmi però che vedo solo nero e sono pessimista. Qualche volte gli altri me lo dicono. Se ti parlo così è perché, in tali situazioni che ci vedono negativamente responsabili, non ci passa per la testa che tu, in questa maniera, continui a essere inchiodato sul legno. Ma mi metto dalla parte del buon ladrone che ha visto giusto e ti dico che il mio cuore si dilata di gioia al ricordo di Maria Chiara Mangiacavallo, giovane donna coraggiosa di Sciacca (morta nel 2015 a 30 anni) che, nell’ora della brutta malattia e del dolore, ha stupito tutti scegliendo (sono sue parole) che la tua passione si sovrapponesse alla sua, vivendo fino all’ultimo istante la beatitudine della semplicità e della piccolezza. Prima tu non appartenevi al suo mondo, ma una volta che vi siete incontrati ha cambiato vita. Alla sua amicizia affido i giovani e alla sua preghiera il prossimo Sinodo. Sai, credo davvero che, in questa terra possa vincere la giustizia e si possa vivere la legalità come ci insegna Rosario Livatino. Giovanni Paolo II lo preconizzò «martire della giustizia e indirettamente della fede». Allora, significa che si può vivere per il bene comune».

E a conclusione: «Voglio ringraziarti anche per la tanta gente operosa, generosa, coraggiosa, onesta, impegnata, giovane e meno giovane, che incontro nel mio ministero. A volte resto sorpreso per la loro fedeltà quotidiana a te e alla vita, e in loro leggo la tua fedeltà e la tua vita. Sono davvero tanti, e sono di questa terra. Grazie e… ricordati di noi».