Pontificale San Gerlando: Nuovi evangelizzatori sull’esempio del nostro Patrono

«San Gerlando ci ricorda – e averlo come protettore è per noi responsabilità e non solo motivo di devozione – che la Chiesa è per sua natura missionaria ed evangelizzatrice. Senza lo slancio missionario, frutto dell’amore donato che a sua volta deve essere donato, la Chiesa non avrebbe ragione d’essere, perché il sale che perde sapore e la luce che rimane nascosta non hanno senso». Inizia così l’omelia che l’arcivescovo di Agrigento, card. Francesco Montenegro ha pronunciato nel corso del Solenne Pontificale in onore di San Gerlando patrono della Diocesi di Agrigento. «Ogni evangelizzatore – ha proseguito l’arcivescovo Montenegro – deve avere chiara la consapevolezza che la Parola, coinvolgendo primariamente la sua vita, lo fa santo e testimone. Il Vangelo per essere credibile e creduto deve necessariamente concretizzarsi nella carità, affettiva ed effettiva, che è il suo stesso cuore. Evangelizzare è avere il coraggio – Paolo ha detto ai Corinti: “non ci perdiamo d’animo” (2 lett) – di attraversare il mare mosso, desiderare fortemente di raggiungere l’altra riva lasciando la propria, accettare la sfida, sempre nuova, che coinvolge i vari ambiti della comunità e della società: l’ ambito familiare, i criteri morali, i problemi della giustizia e della pace, la povertà, e non solo del nostro territorio. “Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace” (1 lett)».

«L’evangelizzazione – ha proseguito l’arcivescovo – non è una buona lezione da trasmettere o una pianificazione di ottime strategie, è necessario sentirsi dentro il fervore e la passione degli apostoli, come avvenne per S. Gerlando. È questa passione che tiene viva e vivace la fantasia della carità: l’annuncio è completo solo quando si fa diventare concretezza ciò che si annuncia. La carità non si misura dai servizi prestati ma dalla capacità “di farsi vicini, solidali con chi soffre, così che il gesto di aiuto sia sentito non come obolo umiliante, ma come fraterna condivisione” (NMI 50). Insieme, da otto anni, abbiamo messo su un cantiere, il cui fine non è tanto di dare una ritoccatina estetica alla nostra bella e santa madre Chiesa agrigentina, ma di tenere al centro il Signore Gesù, il missionario, che ha detto: “Andate, vi mando come agnelli in mezzo ai lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali” (Vangelo) e ci ha offerto come navigatore satellitare il Vangelo, il libro che ci permette di guardare e percorrere col cuore di discepoli il territorio di questa Diocesi».

«La missione – ha proseguito il card. Montenegro – è un problema di fede, anzi di più, è la misura della nostra fede in Cristo Gesù e nel suo amore per noi; lo ripeto, non è ingegneria o alchimia spirituale o calcolo pastorale. “Chi ha incontrato veramente Cristo, non può tenerselo per sé, deve annunciarlo” (NMI 40). E per farlo, lo dicevo, si deve puntare al largo, consapevoli che non sono poche le difficoltà da affrontare (è il biglietto da pagare!), per andare oltre l’uscio dei propri sicuri ambienti, che rischiano, lo ripeto ancora, di trasformarsi da parcheggi custoditi a rispostigli. E nei ripostigli finiscono le cose che non servono più e che diventano un po’ alla volta inutili. Non voler affrontare il mare è correre il rischio di dimenticare che Dio, che rifiuta il quieto vivere, ci chiede di non sentirci soddisfatti della ripetizione stanca di gesti validi e preziosi nel passato, ma oggi ormai privi del vero significato. Il Vangelo ci lancia verso il futuro che è già iniziato, sganciandoci da un passato fatto di tradizioni e gesti oggi spesso privi di un’anima. Pigliamo dal passato solo ciò che vale! Diciamocelo, non sono le chiese piene (ma sono davvero piene?) il test positivo della nostra azione pastorale. Le diciamo piene ma a frequentarle è solo il 15% dei battezzati, non possiamo non chiederci cosa facciamo per il restante 85%?».

«“La comunità evangelizzatrice – ha proseguito l’arcivescovo Montenegro – si mette mediante opere e gesti nella vita quotidiana degli altri, accorcia le distanze, si abbassa fino all’umiliazione se è necessario, e assume la vita umana, toccando la carne sofferente di Cristo nel popolo. Gli evangelizzatori hanno così “odore di pecore” e queste ascoltano la loro voce” (EG 24). “Io sono con voi fino alla fine…”: la sua ‘scomoda’ presenza tra noi non ci permette di restare indifferenti davanti alla storia della nostra Chiesa e del nostro territorio. Farlo è tradimento. Non sentire l’esigenza della missione e limitarsi all’ordinario quotidiano è lasciare fuori la porta Dio, e senza Dio … che Chiesa è?, anzi senza Dio non c’è Chiesa! È in quest’ottica che dovrebbe essere intesa la lettura del territorio che vi ho proposto. Non è il capriccio di un Vescovo, ma solo il desidero e la necessità di attrezzarci adeguatamente per come tenere i piedi per terra e per come conoscere meglio la realtà nella quale operare. Non si può accettare una sfida senza conoscere effettivamente la situazione contingente. I tempi sono cambiati e cambiano velocemente. Non possiamo accontentarci di quello che crediamo di conoscere (potrebbe essere un atto di presunzione), ma è ciò che si conosce davvero a richiederci di come tenere gli occhi aperti. Ha detto Giovanni Paolo II: “Lo Spirito Santo possiede un’inventiva infinita che sa provvedere e sciogliere i nodi delle vicende umane anche più complesse e impenetrabili”. Lasciamoci interrogare dalla storia: dal fatto che i giovani lasciano la nostra terra e le nostre comunità diventano anziane. Dal fatto che a fu-ria di parlare solo dell’al di là, incrementando le facili ma non sempre efficaci devozioni, rischiamo di dimenticare di parlare delle cose dell’al di qua? La luce della Pasqua sembra attenuarsi, nella nostra terra si respira una fede triste e pesante. E la disoccupazione giovanile e no? E le famiglie sconvolte dalla droga, dal gioco, dall’alcol o che non arrivano a fine mese? E i malati e gli anziani che soffrono di salute e di solitudine? E la mafia? E la violenza? E l’usura? E la corruzione? Basta accontentarsi di fare il catechismo ai bambini o bisogna cambiare stile e passo? Perché non catechizzare gli adulti? I sacramenti sono solo da regala-re o esigono una sincera preparazione per vivere meglio la vita quotidiana? È vero, la nostra chiesa ha tante cose belle da raccontare, – e di questo ringraziamo il Signore e dico a voi grazie – a partire da S. Libertino e S. Gerlando sino ad oggi. Ma questo non impedisce di sentirci sempre in missione, di sentire Gesù che ci manda. S. Gerlando ci trasmetta la sua carica missionaria e il suo desiderio di cambiare la realtà, senza alcuna paura».

E poi l’annuncio dell’inizio della visita pastorale. «Ho il piacere e la gioia – ha detto l’arcivescovo – di annunciare alla Diocesi l’inizio della visita pastorale. Non scendo nei particolari e nelle modalità con cui si svolgerà. Saranno comunicati per tempo. Dico solo che è un momento di grazia per la Chiesa e per me. Essa è il tempo in cui tutti – Vescovo, Sacerdoti, operatori pastorali – ci mettiamo in ascolto di Dio per capire se veramente stiamo realizzando la Sua volontà; è occasione per ascoltarci di più tra noi; è utile per ascoltare insieme questo nostro mondo che, con linguaggi diversi e, a volte, confusi, ci parla. Non verrò come un ispettore, ma, spero di riuscirci, sarò tra voi come Gesù che passando donava speranza. Nel Vescovo si riconosce Colui che, nel nome del Signore, conferma nella fede; insieme a Lui, si fa una verifica della vita parrocchiale per un rilancio pastorale carico appunto di speranza. Il punto di partenza per tale verifica è il Piano Pastorale Diocesano.

Per questo la visita pastorale non è un fatto burocratico o solo celebrativo, ma, come dicono i documenti della Chiesa, “è occasione per ravvivare le energie dei credenti, incoraggiarli e consolarli” e “per richiamare tutti al rinnovamento della vita cristiana e ad un’azione apostolica più intensa”. Il risultato di essa dovrebbe essere una crescita nella comunione e un maggiore dinamismo missionario. Accoglietemi in atteggiamento di fede, al-la stessa maniera io verrò tra voi. Come Paolo vi dico: “Ritorniamo a far visita ai fratelli in tutte le città nelle quali abbiamo annunziato la Parola del Signore, per vedere come stanno” (At 15,36). “Desidero vedervi per comunicarvi qualche dono spirituale perché ne siate gratificati, o meglio, per essere in mezzo a voi confortato mediante la fede che abbiamo in comune, voi ed io” (Rm 1,11). Affido – ha concluso il cardinale – il buon esito di questo mio servizio episcopale all’intercessione di Maria, di S. Gerlando e di s. Libertino, nostri Patroni, come pure di tutti i Santi e Beati di questa nostra Diocesi».