Ordinazione diaconale, Montenegro: «Il Signore vi chiama a essere servi»

Alla vigilia della solennità del Santo Patrono dell’Arcidiocesi di Agrigento, l’arcivescovo Francesco Montenegro, in una gremita Cattedrale ha conferito il ministero del diaconato a sei seminaristi: Davide Burgio della Comunità ecclesiale di Porto Empedocle, Alessio Caruana e Dario Fasone della Comunità ecclesiale di Agrigento, Matteo Mantisi e Calogero Putrone della comunità ecclesiale di Realmonte e Salvatore Piazza della comunità ecclesiale di Menfi.

«È giorno di festa oggi per la nostra Chiesa. Stasera – ha detto l’arcivescovo nella sua omelia – il Signore ci dona come diaconi Alessio, Calogero, Dario, Davide, Matteo e Salvatore, Noi, ringraziandoLo, li affidiamo a Lui, e a loro raccomandiamo di prendere come modello del loro ministero diaconale oggi e sacerdotale domani il nostro santo protettore. Averlo come modello non è da poco. Ma sarà una vita riuscita se di voi sei, e di tutti noi consacrati, si potranno dire le stesse cose. E poi non dimenticate la parola di Dio che è stata proclamata, essa sembra scelta apposta per fissare i punti di riferimento del vostro diaconato. Il punto di partenza, che potete considerare fondamento del vostro ministero, sta nelle parole di Paolo: non valutatevi ‘più di quanto è conveniente valutarsi’. L’ordinazione non è una promozione, anche se è venuta tanta gente per voi; stasera non diventate più importanti, perché il Signore vi chiama a farvi servi. La parola servi mentre da un lato lascia perplessi (tanti anni di studio per diventare servi?), dall’altro mette in difficoltà. Oggi è di moda regalare il grembiule a chi diventa diacono o presbitero, o portarlo nella processione offertoriale. Ma ritengo che il difficile non è mettersi il grembiule, ormai diventato un interessante capo d’abbigliamento diaconale, ma mettersi a servizio degli altri, soprattutto se questo significa chinarsi, anzi inginocchiarsi e lavare i piedi a chi ci sta di fronte o tenere un uomo ferito tra le braccia o avvicinarsi al lebbroso – oggi è più facile a un barbone – e toccarli. Forse da diaconi non vi toccherà mai lavare i piedi, lo farete più probabilmente da sacerdoti il Giovedì Santo, ma quei piedi sono facili da lavare perché sono già puliti e anche profumati. Ma lavare i piedi significa accorgersi del ragazzo che si buca, del barbone che dorme all’aperto, dell’adolescente che già delinque, della ragazza madre giudicata leggera o di strada da molti, ma che ha avuto il coraggio di fare nascere una vita anziché eliminarla, della donna che è costretta a vendersi per assicurare il pane ai figli, del disoccupato o dello sfrattato, del malato costretto, non raramente, nella solitudine, a portare la croce pesante della sofferenza, dell’immigrato che si guarda attorno spesso come un animale smarrito e attende un sorriso o una carezza così come la facciamo ai nostri cagnolini; servire o lavare i piedi è rendersi conto delle tante donne e uomini scartati dai pii benpensanti (coloro che per rassicurare dicono che vanno a Messa e votavano democrazia cristiana) che hanno fame d’amore oltre che di pane, e aspettano che qualcuno si accorga di loro e si fermi accanto. Fermatevi voi e fatevi sentire loro veri amici.

Consideratelo un motivo di prestigio e di orgoglio che deve rendervi riconoscibili. Siate loro amici. Vi raccomando, non date per scontato il servizio solo perché siete ordinati diaconi, dovete sceglierlo ogni giorno, se non lo farete diventerà routine, cioè un modo di agire, ma senza cuore. E attenti che quanto vi ho detto ora non è cosa da poco, perché se il servizio è scelto e rinnovato ogni giorno, diventa via di santità.

Servire è amare coi fatti e non a parole. Lo ripeto, esistono parole importanti, ricche di significato, ma che col tempo diventano logore e vuote. Una di queste è appunto ‘servizio’. Una parola seria, dai contorni precisi, da usare con sobrietà, l’abbiamo trasformata in una parola quasi vuota, che si trova sulla bocca di tutti e dappertutto: a servizio del paese, dicono i politici, a servizio dei clienti, dicono i venditori; a servizio di Dio, dicono gli uomini religiosi. Ma è sempre vero?

Probabilmente per comprenderne il senso dobbiamo pensare a cosa avrà provato Gesù quando si è abbassato a lavare i piedi dei suoi amici.

Il servizio non è donare agli altri un po’ del proprio tempo o essere generosi, è un modo di esistere, uno stile. Se un uomo è egoista, lo è sempre e dappertutto, nella vita privata e in quella pubblica. Perciò non si possono vivere alcuni spazi da offrire come servizio e tenerne altri come propri e ricerca di sè. Servire è sentirsi responsabili degli altri, è avere cioè uno sguardo attento e premuroso, capace di vedere e di capire, come quello del samaritano che si accorge del ferito. Ecco perchè il servizio non si improvvisa, ma si costruisce ed esige una giusta competenza e un’ottima attrezzatura morale. La generosità, quella che non ha il cuore collegato con la mente, invece, tante volte è istintiva, confusa, non sempre rispettosa, tanto da riuscire a gratificare chi serve, ma non essere sempre utile per chi si vuole servire. Il servizio non è semplice perché non è solo dare una risposta ai bisogni dell’altro, ma è accoglierlo così com’è nella propria vita. Si possono fare tante cose, anche buone, per gli altri, ma non si può dimenticare che sono persone. Per servire come Cristo allora “incarnatevi” nel luogo dove operate, guardatelo, ascoltate le voci che in esse risuonano, registrate le necessità, le preoccupazioni, i desideri, le tensioni, soprattutto dei più poveri e fatevene carico.

Mi sono soffermato sullo stile del servitore, vi ho raccomandato di saper stare a servizio dei poveri, dei più deboli, dei più infelici, dei rifiutati, dei senza senso. Amateli, prima e mentre li aiutate.

Non meno importante è il servizio della comunione, dovrete cioè aiutare la comunità ad essere luogo di fraternità, di cui la carità è il segno di riconoscimento. Portate a tutti la parola di Dio che è l’unica che unisce, ma prima di parlare ascoltarla e ascoltate gli altri.

Vi rendete conto – ha concluso l’arcivescovo – che da stasera siete chiamati a giocarvi seriamente la vita? A spendervi e consumarvi per la chiesa e per gli uomini? Ormai la vostra vita non vi appartiene più! Guardate Maria, donna del servizio, non abbandonatela ma imitatela, tenetela per mano e fatevi condurre. Noi vi affidiamo a Lei».