L’arcidiocesi si stringe attorno al suo patrono san Gerlando (fotogallery e video)

Si sono conclusi, il 25 febbraio nella chiesa concattedrale di San Domenico, con il Solenne Pontificale, i festeggiamenti in onore di San Gerlando patrono dell’Arcidiocesi e della citta di Agrigento. Numerosi i fedeli accorsi, presenti i presbiteri dell’arcidiocesi di Agrigento ed una rappresentanza delle diocesi di Caltanisetta e Piazza Armerina che nella mattinata hanno preso parte al corso di formazione, presenti le autorità civili e militari, il sindaco con i membri della Confraternita del Carmine di Mussomeli che quest’anno hanno offerto l’olio per la lampada votiva al Santo. A presiedere il Pontificale mons. Salvatore Muratore, vescovo di Nicosia e già vicario generale della nostra Arcidiocesi. Quest’anno ad offrire l’olio per la lampada del Santo non è stato, secondo tradizione, un comune dell’Arcidiocesi ma la Confraternita Santa Maria del Carmelo di Mussomeli, presente al Pontificale con il sindaco del comune. “Abbiamo voluto riprendere – dice don Giuseppe Pontillo, parroco della Cattedrale – un’antica prescrizione di cui si conserva memoria in una Bolla del vescovo Bonincontro (1607-1622), con la quale il vescovo faceva obbligo alla Confraternita del Carmelo di Mussomeli, allora sotto la giurisdizione della diocesi di Agrigento, di offrire per la Festa del Santo un rotolo di cera”. Il Pontificale si è concluso con la preghiera a San Gerlando da parte del Corpo della Polizia Municipale della città di Agrigento e la processione verso la Cattedrale con l’Urna contenente le reliquie del Santo, portata a spalle dai “ragazzi” della parrocchia. Durante il percorso l’Urna  ha fatto sosta davanti il Palazzo di Città e, prima di fare rientro nel coretto della Cattedrale, davanti il Palazzo Vescovile per il canto dell’inno a San Gerlando. “Tutti i momenti, dice don Giuseppe Pontillo, sono stati partecipati e vissuti con fede ed entusiasmo in maniera particolare il Pontificale nella chiesa San Domenico e le due processioni, quella della traslazione dell’Urna con le reliquie dalla Cattedrale alla Chiesa San Domenico e quella serale del 25 febbraio. La città si è stretta attorno a San Gerlando per invocare e chiedere rinascita e tempi migliori per la nostra terra. Genitori e figli, adulti e giovani insieme all’amministrazione della Citta per accogliere e fare proprio l’invito del vescovo Muratore «San Gerlando vi faccia volare alto sulle ali della fiducia e della speranza»”.

Il saluto del cardinale Montenegro ed il ricordo per i gli agrigentini sparsi nel mondo

All’inizio del Pontificale, il card. Francesco Montenegro, ha pronunciato queste parole.

Carissimo Fratello Salvatore,
grazie a nome mio e della comunità per aver accettato l’invito di presiedere l’Eucaristia in questo giorno dedicato al nostro protettore. Come Agrigentino sai bene come e quanto S. Gerlando ha amato e servito questa terra. È stato apostolo che ha dimostrato grande coraggio e grande fede. Lo penso coraggioso perché, secondo me, ha saputo guardare al futuro e questo gli ha permesso di convertire la città. Se si fosse rassegnato al fatto che la città era in mano agli arabi e che non era possibile cambiare la situazione, non sarebbe riuscito a compiere quanto ha fatto. È stato uomo di fede, perché certo dell’amore di Dio, per Lui ha osato e operato, ottenendo appunto ciò che poteva sembrare impossibile.
Per questo è un santo da considerare attuale e al quale guardare. A te chiedo di pregare con noi e per noi perché tutti, soprattutto io Vescovo, e con me i presbiteri e tutti i credenti, possiamo avere lo stesso coraggio e la stessa fede.
Come vedi, siamo ancora senza Cattedrale, la nostra madre continua a essere malata, anche se all’orizzonte sembra si delinei qualche debole segnale. Non voglio illudermi, voglio però continuare a sperare. Quello della Cattedrale è un vuoto che a tutti – credenti e no – reca sofferenza. Probabilmente questo tempo di ormai lunga attesa deve almeno servirci a credere di più che la vera e bella Chiesa, siamo noi, le pietre vive. Oggi, mentre aspettiamo che il miracolo avvenga (oso chiamarlo così), il nostro compito è di essere pietre vive e questo dovrebbe diventare il nostro desiderio più grande. In questo territorio che vuole risorgere, ma che stenta a farlo, soprattutto per scelte non fatte, siamo chiamati a essere la Chiesa che, rispondendo all’invito del Papa, sta per strada e va incontro a chi sfiduciato è tentato di mettersi da parte. Il mio desiderio è che assieme all’orgoglio di essere credenti, sentiamo quello di essere agrigentini, appassionati cioè della nostra Chiesa e di questa città e del suo territorio. Alla scuola di S. Gerlando possiamo imparare a coniugare sempre meglio l’annuncio del Vangelo e la promozione dell’uomo, per vivere da cristiani e da cittadini degni del Vangelo che guardano la realtà in cui si trovano, ma lo fanno senza mai perdere la speranza.
Aiutaci, don Salvatore, con la tua preghiera e noi, mentre ti rinnoviamo la nostra gratitudine, ti auguriamo ogni bene per il tuo ministero nella chiesa sorella di Nicosia  e per te e per essa preghiamo.
Il mio e nostro ricordo affettuoso in questo momento non può non andare ai tanti agrigentini sparsi nel mondo. Sono tanti, purtroppo! Li ricordiamo in questa celebrazione.
Approfitto per salutare lei Sig. Sindaco e a voi amici di Mussumeli, in modo particolare la Confraternita Santa Maria del Carmelo, che avete voluto compiere il gesto grazioso di offrire l’olio per la lampada del santo. È gesto di fede ma è anche gesto di comunione con la Chiesa agrigentina. Vi diciamo grazie e auguriamo, per l’intercessione di S. Gerlando, provvidenza e ogni bene per la vostra città.
Un grazie non posso non dirlo a voi gentili autorità che con la vostra presenza arricchite questa assemblea. L’essere insieme oggi significhi l’impegno di tutti a sognare e volere insieme un futuro migliore per questa amata terra.
S. Gerlando benedica la nostra città e il nostro territorio.

 

L’omelia di mons. Salvatore Muratore: “San Gerlando vi faccia volare alto sulle ali della fiducia e della speranza”

Mons. Muratore nell’omelia non ha nascosto ai presenti la gioia di condividere il momento di festa. “Io devo – ha detto – tutto a questa terra e a questa Chiesa che mi è madre e che mi ha generato, accompagnato nella crescita e ha messo nel mio cuore il fascino della comunione. Questa Chiesa di Agrigento – ha continuato – mi ha formato come uomo e come presbitero e mi ha insegnato ad amare e a dare la vita”.
Ecco il testo integrale dell’omelia

Cari amici e fratelli, non posso e non voglio nascondere la gioia di esse qui con voi. Io devo tutto a questa terra e a questa Chiesa che mi è madre e che mi ha generato. È lei che mi ha accompagnato nella crescita e ha messo nel mio cuore il fascino della comunione. Questa Chiesa di Agrigento mi ha formato come uomo e come presbitero e mi ha insegnato ad amare e a dare la vita. Questa Chiesa mi ha confermato ogni giorno nel proposito di sentirmi come Gesù: abbracciato dalla tenerezza del Padre e innamorato degli uomini.
Sono contento di condividere con voi questo momento di festa.  Saluto particolarmente te, fratello Francesco, pastore, servo e sposo di questa santa Chiesa. Saluto e abbraccio il presbiterio di cui credo di essere stato parte viva nella ricerca della comunione e nel servizio.
Saluto te, popolo di Dio, erede di radici gloriose e sante. Siamo tutti debitori a queste radici: se siamo in questo tempio, se ancora oggi scopriamo la tenerezza di Dio, se spezziamo il pane e riscopriamo in maniera sempre nuova la compagnia di Gesù, se oggi lasceremo risuonare il Vangelo nel nostro cuore e ancora ci lasceremo trasfor-mare, lo dobbiamo a chi ha seminato su questa terra; a partire da Li-bertino e Gerlando primi, in millenni diversi, di una teoria di uomini e donne, papà e mamme, preti e laici che hanno coltivato e testimo-niato in mezzo a noi la novità e la bellezza del Vangelo dell’amore.
Siamo radunati attorno all’ Eucaristia,”è dolce al Santo Vescovo il pane del SS. Sacramento” dice un antico inno. questa Eucaristia è il raccontarsi dell’ amore di Dio per il suo popolo, oggi il Signore ci sta amando, sta parlando al nostro cuore, ci sta invitando ancora una vol-ta a sentirci fratelli nell’unità e nella comunione di un solo corpo: ve-scovi, presbiteri, laici, una sola cosa, un solo corpo: Il corpo di Gesù.
A Lui a Gesù vogliamo orientare mente, cuore e vita. San Gerlando sarà il nostro facilitatore, colui che avendo dato la sua vita per noi ci introdurrà ulteriormente; sarà il nostro modello, sarà colui che continua a indicare ancora per noi la strada del futuro.
Rileggendo la vita di San Gerlando e intrecciandola alla Parola che il Signore ha fatto risuonare oggi per noi mi è sembrato di cogliere  alcune (quattro) dimensioni che vi propongo e che subito enuncio. La dimensione sponsale, la dimensione esodale, la dimensione  missionaria e la dimensione profetica.

La prima dimensione è la dimensione sponsale
Pensando al momento storico in cui venne Gerlando ad Agrigento, dove la desertificazione del cristianesimo sembrava irrevocabile e dove probabilmente i cristiani ridotti a minoranza e al nascondimento facevano fatica a venir fuori, mi è sembrato di poter applicare alla situazione di quegli anni il tratto di Isaia quando dice: Sarai chiamata con un nome nuovo, che la bocca del Signore indicherà. Nessuno ti chiamerà più Abbandonata, né la tua terra sarà più detta Devastata, ma sarai chiamata Mia Gioia, e la tua terra Sposata, perché il Signore troverà in te la sua delizia, e la tua terra avrà uno sposo.
Arriva lo sposo Gerlando che si innamora subito della sua sposa; e la terra di Agrigento rifiorisce, la voce dell’amato del Cantico direbbe l’inverno è passato, è cessata la pioggia, se n’è andata, c’è il profumo della freschezza, c’è profumo di primavera e di vita nuova. Riparte la fede, si costituisce l’unità dei presbiteri attorno al Vescovo, si apre l’orizzonte di una rinnovata evangelizzazione. Nessuno ti chiamerà più Abbandonata, ma sarai chiamata Mia Gioia, e la tua terra Sposata.
L’amore sponsale è la dimensione più vera della Chiesa. San Paolo ce lo dice con assoluta chiarezza: Come Cristo fa per la sua Chiesa così si devono amare gli sposi, così un Vescovo ama la sua Chiesa, così  Vescovo e presbiterio modellati su Cristo sposo amano gli uomini e le donne della loro diocesi. Così Gerlando ha amato la sua sposa, se ne è preso cura, a lei si è donato. Come nell’amore sponsale: come un uomo e una donna sono donati l’uno all’altra totalmente e per sempre, come Gesù è donato totalmente e per sempre alla sua Chiesa, così vescovo e presbiteri vivono la loro sponsalità nell’essere donati totalmente e per sempre nella gratuità, nella fedeltà e nella fecondità. Quale disegno grande ha sognato il nostro Dio, quanto amore grande sta scrivendo nel nostro cuore! I due sacramenti dell’Ordine e del Matrimonio, l’uno e l’altro, sono segno dell’amore sponsale di Cristo per la Chiesa, perché il mondo creda e scopra la bellezza di essere famiglia di Dio. C’è una reciprocità stupenda tra famiglia e presbite-rio che deve essere recuperata. Al centro di tutta la pastorale non può non esserci la famiglia. Famiglia, sposi, presbiteri, vescovo, mentre come Chiesa ci identifichiamo tutti con la donna del Cantico e diciamo a Gesù il mio amato è mio ed io sono sua, mi piacerebbe guardare a Gerlando e mettere nel cuore dei pastori, ma anche nel cuore di tutti voi,  la stessa frase ribaltata, come la direbbe Gesù: la mia amata è mia ed io sono suo. Non è un mio di possesso, ma è un mio di appartenenza. Mia… di me, della mia stessa carne.

Dalla dimensione sponsale passiamo alla dimensione esodale
Non sono due dimensioni giustapposte, ma sono intimamente connesse. Chi ama veramente esce dal suo mondo per andare, fidandosi, verso un’altra persona. Esodo lo sappiamo bene significa uscita.  Non ci può essere dimensione sponsale senza condizione esodale. L’uomo e la donna che si amano mostrano al presbitero e al Vescovo che non possono amarsi senza uscire da sé, senza dimenticarsi di sé per donarsi totalmente all’altro.
San Gerlando, nel suo tempo, fu posto di fronte ad una scelta decisiva e impegnativa: cambiare radicalmente la prospettiva della sua vita per venire ad abitare la nostra terra; uscire di nuovo dalla Francia, dove aveva i suoi legami, dove aveva impostato la sua vita tra gli studi e la preghiera per venire in una terra che non conosceva. Scrive Mons. De Gregorio: “Egli sapeva certamente le difficoltà che lo attendevano per ridare vita al cristianesimo in una terra in cui, per più di due secoli, aveva agonizzato… non ignorava la pochezza delle sue forze, ma non volle opporsi alla chiamata di Dio”.
Esci e va’. Abramo accettò la sfida di partire verso una terra nuova. La dinamica dell’esodo, del dono, dell’uscire da sé, del camminare e del seminare sempre di nuovo e sempre oltre, è intimamente legata alla natura stessa della fede. Anche Gesù ha vissuto questo esodo dall’essere uguale a Dio a farsi servo per amore; e il Papa ci ha abituati a questo linguaggio esodale parlandoci della Chiesa in uscita.
Una indicazione chiara di uscita per noi vescovi e presbiteri, ma anche per tutti gli operatori pastorali,  ci è stata data dalla seconda lettura: Pascete il gregge che vi è affidato, volentieri, come piace a Dio, non per vergognoso interesse ma con animo generoso, non come padroni delle persone a voi affidate ma facendovi modelli. E  oggi il modello è Gerlando, modello per zelo, passione e amore: volentieri, come piace a Dio, con animo generoso.
Una Chiesa in uscita coinvolge tutti. Invitati ad uscire:
Uscire dal clericocentrismo per aprirsi a dinamiche di partecipazione e di corresponsabilità condivisa. Dice Papa Francesco(EG): “i laici sono semplicemente l’immensa maggioranza del popolo di Dio non possono essere tenuti ai margini delle decisioni”.
Uscire dalle proprie comodità affettive e relazionali costituite attorno ai pochi e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce e dei gesti del Vangelo.
Abbandonare i propri circuiti più o meno rassicuranti per camminare insieme. Il vostro arcivescovo nella lettera pastorale parla della sfida della comunione (unità pastorali), la necessità e l’urgenza di abbattere gli steccati.
Per le famiglie uscire significherà contagiare ad altre famiglie la bellezza dell’amore.
Per i laici uscire significherà animare le realtà del mondo, le relazioni sociali, la politica, la città con il lievito del Vangelo, diventando sale che dà sapore e genera un mondo nuovo. Non si è laici cristiani solo se si frequentano le sacrestie, il posto dei laici cristiani è il mondo.
Per tutti gli operatori pastorali e per tutti  uscire significherà abbandonare il proprio punto di vista per aprirsi al discernimento comunitario. Senza la comunione anche le cose più esaltanti
diventano solamente autoreferenziali e devianti.
“Osate percorsi nuovi” vi chiede il vostro Vescovo nella lettera pastorale. Questa è la dimensione esodale

Dimensione missionaria  evangelizzatrice
Isaia: Lo Spirito del Signore è su di me, mi ha mandato a portare il lieto annunzio. E il Vangelo:  Andate in tutto il mondo e proclamate  il vangelo in ogni creatura. Allora essi partirono e predicarono dappertutto mentre il Signore agiva con loro e confermava la Parola.
“L’opera evangelizzatrice di S. Gerlando si rivolse prima di tutto ad alimentare la fede in quei pochi cristiani che trovò nella città e nella diocesi e poi a convertire ebrei e musulmani principalmente con il suo esempio e la sua parola”. Così la Legenda riportata dal carissimo mons. De Gregorio. Dimensione evangelizzatrice “Rinnovamento delle nostre comunità secondo lo stile catecumenale”
chiede l’Arcivescovo. Percorsi di riscoperta della fede per adulti, per famiglie, per fidanzati sono ormai improcrastinabili. Annunciare il vangelo a tutti, in tutti i luoghi, in tutte le occasioni, senza indugio, senza repulsioni e senza paura è l’anima che deve muovere i nostri passi. (EG) “Come vorrei trovare le parole per incoraggiare una stagione evangelizzatrice più fervorosa, gioiosa, generosa, audace, piena d’amore fino in fondo e di vita contagiosa!”
Freschezza e profumo di vangelo, a partire dall’esempio e dal contagio: famiglie, genitori, religiosi, presbiteri esempio e contagio Essi – dice Isaia con una bellissima immagine – Essi si chiameranno querce di giustizia, piantagione del Signore, per manifestare la sua gloria. Le querce dicono stabilità, vitalità, perennità, splendore.
Querce, noi, alberi  piantati in maniera solida nella terra di Dio abbeverati alle sorgenti dello Spirito.  Così penso debba essere la vostra Chiesa radicata nella terra di Dio, alimentata dal soffio dello Spirito, acqua che rigenera e che feconda, con tanti alberi rigogliosi, voi, voi come singoli, voi come famiglie e voi tutti come insieme, che la compongono. Querce di giustizia, piantagione di Dio, per manifestare e annunziare il suo amore.

Dimensione profetica 
“Gerlando uomo dalla carità senza confini. Pur vivendo poveramente, fu generoso e splendido nella carità, ospitale e coraggioso nella difesa dei deboli, intervenendo sempre in loro aiuto e fu sua massima preoccupazione e cura nutrire i poveri, ospitare i pellegrini, visitare gli ammalati, difendere e tutelare le vedove, sostentare i pupilli e gli orfani. Nella sua povertà generoso, pio nell’ospitalità, munifico nel donare, splendido nella carità” (De Gregorio).
La profezia dell’amore e della carità. Di questo siete esperti e anche segno davanti al mondo. Non aggiungo altro. Continuate ad affinarvi nella carità, il vostro arcivescovo è ambasciatore della carità in Italia e nel mondo. Vi auguro di essere Chiesa sempre innamorata degli uomini che non perde mai l’odore degli ultimi perché sa che gli ultimi saranno il perenne roveto ardente in cui Dio si rivela.
San Gerlando vi faccia volare alto sulle ali della fiducia e della speranza.