Montenegro a Lampedusa: “lasciamoci interpellare da ogni fratello che soffre”

Dopo la preghiera davanti la Porta d’Europa, domenica 17 gennaio, 102° giornata mondiale del migrante e del rifugiato,  il card. Montenegro ha celebrato la Santa messa nella parrocchia san Gerlando di Lampedusa. Prima della Celebrazione Eucaristica il parroco insieme all’artista dell’opera ed all’ambasciatore cubano presso la Santa Sede hanno svelato la croce collocata nell’abside della chiesa Madre di Lampedusa seguendo la volontà di papa Francesco che ha voluto che la croce “Milagro” venisse portata sull’isola che da sempre è esempio di accoglienza.

Di seguito il testo dell’Omelia pronunciata dal card. Francesco Montenegro.

In comunione con tutta la chiesa oggi celebriamo la 102° giornata mondiale del migrante e del rifugiato. Il tema che il Papa ha scelto per questo ricordo annuale è strettamente legato al Giubileo: “Migranti e rifugiati ci interpellano. La risposta del Vangelo della misericordia”. In questa significativa occasione abbiamo aperto la Porta santa e abbiamo scelto questo giorno, ritenendolo il più adatto, per consegnare alla comunità lampedusana il Crocifisso che è stato donato dal presidente di Cuba al Santo Padre, e che Papa Francesco ha desiderato che trovasse posto in quest’isola. Approfitto per salutare il Signor Ambasciatore della Repubblica di Cuba presso la Santa Sede e l’artista Alexis Leyva Machado. Il Crocifisso con il quale abbiamo dato inizio al giubileo in diocesi, lo scorso 13 dicembre, e che nei giorni successivi ha accompagnato l’ apertura della porta nelle zone pastorali della diocesi, ora trova la sede definitiva in questa Chiesa. Egli di qui guarda l’isola e guarda il mare. Mi piace chiamarlo: Cristo del Mediterraneo.

Questi eventi rendono particolarmente ricca questa nostra celebrazione e sono contento della vostra pre­senza, della presenza delle auto­rità che ringrazio cordialmente, e di amici che da Agrigento sono venuti a condividere con i Lampedusani questo momento molto significativo.

A dare senso a tutti questi appuntamenti appena ricordati ci aiuta la Parola di Dio ascoltata. Il tema domi­nante di essa è quello della festa e delle nozze. Nella prima lettura ab­biamo sentito il tono gioioso utilizzato da Dio per mezzo del profeta: “come gioisce lo sposo per la sposa così per te gioirà il tuo Dio”. Esclamazione che è accompagnata dalla certezza con­segnata a tutto il popolo: “Non sarai chiamata più Abbando­nata o Devastata ma mio compiacimento”. Nel Vangelo la pro­messa diventa realtà e Gesù dà inizio al suo ministero parteci­pando a un banchetto di nozze, simbolo di un’altra alleanza che si rin­nova: quella fra lo stesso Cristo e la nostra umanità. A ben ra­gione S. Agostino, quando commenta questa pagina dell’ evangelista Giovanni, dice: “La nostra umanità è la carne che Cristo ha deciso di sposare”. Nell’episodio di Cana c’è molto di più di un miracolo; c’è un programma di vita che lo stesso Gesù da li in avanti realizzerà. Noi siamo la sua sposa e Lui è lo sposo; per noi darà se stesso sulla croce e per noi risorgerà a vita nuova. Si è unito a noi in maniera da non volersi più separare e resterà con noi fino al suo ritorno nella gloria. Ma se questo è il significato dell’episodio raccontato dall’evangelista Giovanni, chiediamoci: “oggi cosa vive la sposa di Cristo?”; “di cosa soffre questa umanità?”. Venendo qui a Lampedusa, quasi due anni fa, il Papa ha denunciato la “globalizzazione dell’indifferenza”. Questo è infatti uno dei mali più gravi del no­stro tempo: l’indifferenza. I migranti, i rifugiati, gli esuli, i poveri sono tutti volti della stessa umanità che ci interpella e che ci chiede aiuto. Se oggi volessimo ripetere la scena di Cana, anche noi, come la Vergine Maria, diremmo: “Non c’è più vino!” Non abbiamo più il vino della gioia della fraternità. L’altro è straniero, è extra-comunitario, è diverso! Così come lo è ogni povero anche se appartiene alla nostra razza. Ciò non solo sta to­gliendo la gioia di vivere, ma sta facendo posto alla paura. Pensiamo di trovare la felicità riem­piendoci di cose ed esclu­dendo l’altro. E invece no! La festa la si fa proprio al contrario: accogliendo chi soffre ed eliminando le cose che non servono a nulla. Questa umanità ha bisogno che si ripeta il miracolo della trasformazione dell’ acqua dell’indiffe­renza nel vino dell’accoglienza e della fraternità. Prima ancora di qualsiasi norma o accordo internazionale dovremmo essere consapevoli che non ci sono le categorie, come per esempio gli immigrati o i poveri, ma ci sono le persone, con la loro storia, la loro dignità e il loro di­ritto alla vita. La nostra società non può pensare di svilupparsi pensando alla borsa o al pil; la via dell’ autentico sviluppo è il ri­spetto di ogni vita umana e l’attenzione particolare a chi soffre; e se non sem­pre si riescono a soddisfare i bisogni materiali non deve mai mancare la risposta della misericordia che diventa ac­coglienza, solidarietà e amicizia. Solo così il nostro mondo potrà tornare a crescere e la nostra fede riuscirà ad essere seme di vita nuova.

Il regalo di questo Crocifisso fattoci avere da Papa Francesco ci può aiutare a considerare meglio questi valori. È molto bella l’ispirazione che ha guidato l’artista: collocare il Cristo sui remi delle imbarcazioni dei pescatori e migranti che compon­gono una croce “particolare”; il Cristo è adagiato su quei remi; quella – secondo una bella intuizione dei Padri – è il suo letto nuziale. In questo modo si rende visibile l’intreccio fra la vicenda dolorosa di Cristo e quella, altrettanto dolorosa, dei migranti; la sofferenza di Cristo si fa attuale nella sofferenza di chi è co­stretto a scappare dal proprio paese e il dolore di questi nostri fratelli trova un senso nella Croce di Colui che è morto per tutti. In ogni parte del mondo quello dei migranti è un problema grave; è una delle questioni più rilevanti della nostra società; è un aspetto di quella terza guerra mondiale a pezzi di cui spesso parla Papa Francesco. Pensiamo alle sofferenze di chi si mette in cammino o di chi scappa da guerre e carestie, alle torture che molti subiscono dai trafficanti di essere umani accecati dalla sete di guadagno, alle tante vittime che muoiono in mare (forse non riusciamo più a contarli e ci dobbiamo accontentare di stime provvisorie come se dire ventimila o trentamila fosse la stessa cosa). Scrive il Papa nel messaggio per questa giornata: «I mi­granti sono nostri fratelli e sorelle che cercano una vita migliore lontano dalla povertà, dalla fame, dallo sfruttamento e dall’ in­giusta distribuzione delle risorse del pianeta, che equa­mente dovrebbero essere divise tra tutti. Non è forse desiderio di cia­scuno quello di migliorare le proprie condizioni di vita e ot­tenere un onesto e legittimo benessere da condividere con i propri cari?».

In questa prospettiva ci piacerebbe tanto che da Lampe­dusa, da questa comunità che insieme a quella di Linosa, da sempre si è distinta per l’accoglienza e la solidarietà e continua a farlo nonostante le grandi difficoltà, parta un messaggio a tutte le altre comunità della nostra diocesi, ma anche di altrove: lasciamoci interpel­lare da ogni fratello che soffre, lasciamoci interpellare dall’ im­migrato e dal rifugiato; non rimaniamo indifferenti, non chiu­diamoci nell’egoismo che soffoca o nel perbenismo che chiude gli occhi; non dobbiamo temere di accogliere chi soffre perché accogliendo Lui accogliamo Cristo, dando un bicchiere d’acqua e un sorso di pane a lui o a lei lo diamo a Cristo. In quelle persone che stanno bussando alla nostra porta, che attraversano le no­stre città in attesa di una sistemazione dignitosa e in quelle ada­giate su tanti marciapiedi…c’è Cristo; lo stesso Cristo che noi ado­riamo qui in chiesa; lo stesso Cristo di cui ci nutriamo nell’ Euca­restia e che tanta consolazione dà alla nostra anima. È lo stesso Cristo! Lasciamoci interpellare da Lui, non perdiamo nes­suna oc­casione per rispondere con il Vangelo della misericordia fatto di gesti concreti, di generosità, di braccia che si allargano – come quelle di Gesù sulla Croce – per continuare a essere stru­menti di speranza e testimoni di una fede che non è fatta di belle pa­role ma di opere concrete, di opere di misericordia cor­porali e spirituali.

In questo ci aiuti la Vergine Santissima, madre di Mise­ri­cordia, qui invocata come Vergine di Porto Salvo; La invo­chiamo prendendo in prestito alcune delle espressioni che ha utilizzato il Santo Padre qui alla fine della Santa Messa:

«Madre di Dio e Madre nostra, volgi il tuo sguardo dolcis­simo su tutti coloro che ogni giorno affrontano i pericoli del mare per garantire alle proprie famiglie il sostentamento neces­sario alla vita, per tutelare il rispetto del creato, per servire la pace tra i popoli.

Protettrice dei migranti e degli itineranti, assisti con cura materna gli uomini, le donne e i bambini costretti a fuggire dalle loro terre in cerca di avvenire e di speranza. L’incontro con noi e con i nostri popoli non si trasformi in sorgente di nuove e più pesanti schiavitù e umiliazioni.

Madre di misericordia, implora perdono per noi che, resi ciechi dall’egoismo, ripiegati sui nostri interessi e prigionieri delle nostre paure, siamo distratti nei confronti delle necessità e delle sofferenze dei fratelli…». AMEN