Il card.Montenegro da il mandato a 1300 ministri della comunione: “sentite la responsabilità di diventare costruttori di comunione, più che distributori di eucaristia

Domenica 26 febbraio u.s. nella chiesa S. Chiara a Canicattì l’arcivescovo, card. Francesco Montenegro ha istituito, come già avvenuto il 12 febbraio u.s. nella Chiesa Madre di Ribera, i ministri straordinari della comunione.

In tutto, nelle due celebrazioni, sono stati istituiti più di 1300 ministri straordinari, che, come ha detto don Rino Lauricella, direttore del Centro per il Culto e la liturgia della curia arcivescovile di Agrigento “possiamo considerare un popolo che di domenica in domenica percorre le strade dei nostri paesi e quartieri per portare il pane eucaristico a chi è impossibilitato a partecipare in modo ordinario alle celebrazioni eucaristiche che si svolgono nelle nostre comunità parrocchiali”.
Nell’omelia l’arcivescovo ha voluto offrire ai presenti, alcune indicazioni per vivere bene questo servizio ecclesiale.

“Essere ministro – ha ricordato ai presenti – non è un premio, né un titolo che vi fa più importanti all’interno della comunità, né un traguardo prestigioso raggiunto. “Ministro” nel linguaggio evangelico significa servizio. Voi – ha proseguito – siete a servizio dell’Eucaristia in un contesto della sofferenza. Oserei dire siete due volte servi.
Per svolgere bene il vostro ministero non basta avere una bella teca, ma occorre un buon grembiule e una brocca piena di acqua per lavare i piedi di quanti occupano un posto speciale nel cuore del Signore e che sono patrimonio prezioso di tutta la comunità che li serve attraverso voi. Questo vuol dire – ha proseguito l’Arcivescovo – che dovete distinguervi per fede, vita cristiana, senso ecclesiale, condotta morale e carità fraterna.
L’eucaristia sia al centro della vostra vita, ciò vi metterà accanto al cuore di Cristo e sentendone il battito farete in modo che il vostro batta in sintonia col suo. A ogni Eucaristia il cuore diventi più ricco di tenerezza, compassione, umanità. Nel giudizio finale, lo sapete, saranno pesate solo le lacrime. Se frequentare l’Eucaristia non ci rimanda al servizio di coloro che hanno qualunque fame (pane, salute, amore), l’essere presente diventa una menzogna.
Ricevendo il mandato – ha detto esortando i presenti- sentite la responsabilità di diventare costruttori di comunione, più che distributori di eucaristia e divenite segno della maternità della Chiesa che vuole che tutti, soprattutto chi è nel bisogno, possano nutrirsi del Pane.
La malattia e la sofferenza richiedono nuovi buoni samaritani che si chinino sui malati e diano loro consolazione. Auspico – ha proseguito – che ai ministri straordinari della Comunione corrispondano altrettanti ministri ordinari della Consolazione. Non siete voi a fare un po’ di bene a chi soffre, ma è la Chiesa che vi chiede di aprire il cuore a chi è nel bisogno. Per essere buoni ministri siate uomini di carità, ma sempre. A chi pensa che è sufficiente svolgere bene il vostro servizio presso i letti dei malati, ma poi gli capita di ignorare, disprezzare o voltare le spalle a chi si trova in altre forme di bisogno (poveri, immigrati…), consiglio di non iniziare questo servizio. Non si possono avvicinare i sofferenti per dimostrare a se stessi e agli altri di avere una grande capacità di amore, e poi non interessarsi (piangere con chi piange) del dolore degli altri. L’arcivescovo ha esortati i presenti:“non affogate i malati con le forme di spiritualità alle quali appartenete, siate rispettosi, voi siete mandati nelle case dei malati in nome della Chiesa con in mano un rituale al quale dovete attenervi”. “Non dovete – ha proseguito – imporre perciò mani, non fare preghiere particolari. Non vi è permesso. Con umiltà, come ha fatto Gesù, mettetevi accanto ai malati e fratello con l’atteggiamento dei discepoli che si accostano a dei maestri e non viceversa. Ricordatevi degli amici di Giobbe che, quando parlavano facevano danni tanto da far arrabbiare lo stesso Giobbe, mentre dimostravano di essere in gamba quando tacevano. Andate dal malato, ma ricordate che incontrate pure una famiglia che può essere in grave difficoltà per l’assistenza da dare al congiunto: non giudicateli, rispettateli, siate discreti e distribuite tenerezza. Non lasciatevi prendere dalla fretta. La Parola è la vostra ricchezza, non le vostre parole o le facili e pericolose ricette pietistiche. Il silenzio è la parola più originale da offrire a chi soffre. Non accontentatevi di portare il pane della vita, ma fatevi voi pane per loro, siate cioè loro amici, ma veri. Comprendete perché dopo un determinato numero di anni, si deve sospendere il ministero. Serve per verificare la sintonia con la comunità e il parroco (andate in nome della comunità) e quanto siete stati capaci di offrire e ricevere amicizia. Il vostro è un ministero straordinario non ordinario. Avvicinate i malati e la loro famiglia anche quando non portate l’Eucaristia. Gesù non si accontentava di compiere le opere di bene, ma si preoccupava di entrare in un rapporto di amicizia.
Diceva S. Camillo: “Ognuno di voi domandi grazia al Signore che gli dia un affetto materno verso il prossimo, affinché possa servirlo con ogni carità, così nell’anima come nel corpo, perché desideriamo con la grazia di Dio assistere tutti gli infermi con quell’affetto che suole avere un’amorevole madre verso il suo unico figlio infermo”.
Un’altra cosa a cui tengo e che accenno soltanto è che aiutate la vostra comunità a sentire i malati come parte integrante di essa. Coloro a cui porterete l’Eucaristia non sono i vostri malati, ma sono della comunità e in essa devono essere considerati parte oltre che preziosa, viva.
Io prego perché in voi, in tutti, sia sempre viva la fede nell’Eucaristia; sia sempre generosa la vostra partecipazione alla Messa; sia sempre umile, delicato, disinteressato e ricco di grazia il vostro colloquio con coloro ai quali farete il dono di Cristo stesso.  Chiedo al Signore – ha concluso – che possiate essere amici dei suoi amici, che siate loro fedeli, divinamente fedeli, e che la vostra vita, ricca di questa amicizia, sia nel mondo una luce che non si spegne, che consola e che sappia infondere la gioia dell’amare e dell’essere amati”.

 

C.P.