GIUBILEO DELLA MISERICORDIA: L’Omelia dell’Arcivescovo

Pubblichiamo il testo integrale dell’omelia che il card.Francesco Montenegro ha pronunciato il occasione dell’apertura del Giubileo della Misericordia nell’arcidiocesi di Agrigento, domenica 13 dicembre 2015 nella Chiesa Concattedrale Santa Croce di Agrigento.

L’Eucarestia di oggi, raccogliendo idealmente tutti i fedeli della nostra diocesi, si caratterizza per due motivi gioiosi che si intrecciano tra loro: la III domenica di Avvento denominata “della gioia” e l’inizio, a livello diocesano, dell’Anno Giubilare, aperto in Africa il 29 novembre e lo scorso 8 dicembre da Papa Francesco.

Il Signore ci invita a gioire e a lodar Lo perché “eterna è la sua misericordia”. Lasciamoci prendere per mano dalla Parola per comprendere il perché di questa gioia e comeci è chiesto di vivere il Giubileo.

Il profeta Sofonia nella prima lettura svela il perché di tale gioia: «Rallegrati, figlia di Sion, grida di gioia, Israele, esulta e acclama con tutto il cuore…il Signore tuo Dio in mezzo a te è un salvatore potente. Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia». Possiamo perciò gioire perché il Signore è in mezzo a noi, nonostante le nostre infedeltà e i nostri peccati; perché ci ama da sempre e per sempre; perché è un Dio “lento all’ira e grande nell’amore”. Il Giubileo della misericordia prende le mosse da questa professione di fede. Durante quest’anno santo siamo invitati a riscoprire la bellezza della misericordia di Dio che ci ama di un amore viscerale; di un Padre che – come quello della parabola – è pronto ad accoglierci quando ci decidiamo di tornare a Lui e a far festa perché noi siamo la Sua gioia. Come ha scritto Papa Francesco nella lettera di indizione del Giubileo: «…abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero della misericordia. È fonte di gioia, di serenità e di pace. È condizione della nostra salvezza. Misericordia: è la parola che rivela il mistero della SS. Trinità. Misericordia: è l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro…Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato».

Sofonia ci ha fatto quasi toccare con mano gli effetti dell’agire misericordioso di Dio: «Il Signore ha revocato la tua condanna, ha disperso il tuo nemico…non temere Sion, non lasciarti cadere le braccia»…. E Paolo ha aggiunto: «non angustiatevi per nulla ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere suppliche e ringraziamenti».

Ecco, il Giubileo è tempo di grazia durante il quale potremo sperimentare la presenza amorevole di Dio nella nostra vita, nella nostra storia, nelle nostre comunità e fare di questa presenza il motivo della nostra gioia e della nostra speranza. Il ritornello del Salmo ha rafforzato questa certezza: «Canta ed esulta perché grande è in mezzo a te è il Santo di Israele». La misericordia del Padre si è resa visibile nel suo Figlio, l’Emmanuele, Colui che si è caricato delle nostre colpe, che è venuto non per i giusti ma per i peccatori e che ha detto che in cielo c’è più gioia per un solo peccatore che si converte che per 99 giusti. E in più ha mandato lo Spirito Consolatore perché il nostro cuore sia capace di misericordia e di amore sconfinato. Dunque è sulla certezza che Dio è misericordioso che si fonda il Giubileo. Per questo in quest’anno saremo chiamati a chiedere perdono dei nostri peccati, a riconciliarci con Lui e a gustare la misericordia di Dio che si manifesta “soprattutto nella grazia del perdono” (dalla Liturgia).

Giovanni nel Vangelo ha indicato la venuta del Messia e con linguaggio deciso ha invitato a cambiare vita e fare frutti degni di conversione perché “ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco” (Lc 3,9). Davanti a questa affermazione i presenti di allora e noi oggi chiediamo: “Cosa dobbiamo fare?”. Se è importante scoprire la radice della misericordia è altrettanto urgente capire quali sono i frutti dell’agire misericordioso di Dio. Sarebbe “grazia a buon mercato” pensare la misericordia come una sanatoria che mette i conti a pari con Dio per poi ricominciare da capo. È vero che la misericordia di Dio va oltre i nostri peccati ma è anche vero che essa richiede una conversione sincera e una vita cristiana che ci faccia essere misericordiosi. Infatti la frase-guida di questo giubileo non è “Dio è misericordioso” ma “Siate misericordiosi come il Padre”. Cioè, sapere che Dio è misericordioso ci deve spronare a essere come Lui. Sempre nella lettera di indizione Papa Francesco ha scritto: «L’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia. Tutto della sua azione pastorale dovrebbe essere avvolto dalla tenerezza con cui si indirizza ai credenti; nulla del suo annuncio e della sua testimonianza verso il mondo può essere privo di misericordia. La credibilità della Chiesa passa attraverso la strada dell’amore misericordioso e compassionevole. La Chiesa «vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia» (n.10).

Questo significa che il Giubileo è insieme tempo di contemplazione della misericordia divina e tempo di azione misericordiosa per noi cristiani. Se non vogliamo essere albero che non da’ frutto, o ridurre l’anno santo solo a un insieme di celebrazioni o di pellegrinaggi dobbiamo tener presente e la domanda: “Cosa dobbiamo fare?” e la risposta di Giovanni che ha indicato la via della carità che si fa dono –“chi ha due tuniche ne dia chi non è ha”– della giustizia a tutti i livelli – “non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato” – e del rispetto di ogni vita umana – “non maltrattate e non estorcete niente a nessuno”. È così che la misericordia diventa operosa e si trasforma in impegno e in responsabilità.

Sì, abbiamo bisogno di essere misericordiosi. Dio ci ha insegnato come si fa, ora tocca a noi imitar Lo. Ci ha mostrato che la misericordia consiste nell’aprire il cuore quando ci si accorge delle miserie altrui. Non possiamo invocare il perdono di Dio e poi ritornare a quell’ozio spirituale che diventa indifferenza e ci rende dei “manichini liturgici”. Dobbiamo conoscere le miserie del nostro tempo; aprire cioè gli occhi su ciò che accade nel nostro territorio e intervenire con l’amore che abbiamo ricevuto da Dio. Per quest’anno pastorale abbiamo scelto l’icona del cieco di Betsaida. Dice Marco che Gesù gli impose le mani sugli occhi ed “egli ci vide chiaramente”. Attenzione a non essere noi cristiani ciechi che se ne stanno con le mani giunte pensando di piacere a Dio a forza di novene e feste popolari. Non dimentichiamo il Suo pensiero: “smettete di presentare offerte inutili…Io detesto i vostri noviluni e le vostre feste; per me sono un peso, sono stanco di sopportarli. Quando stendete le mani io mi giro dall’altra parte…cessate di fare il male, imparate a fare il bene, cercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova” (Is 1,13-17).

Quando Dio sentì il grido del suo popolo se ne diede pensiero e mandò Mosè a liberarlo. Il nostro tempo e il nostro territorio sono pieni di miserie e di povertà che molto spesso si trasformano in tragedie: sono molti coloro che fanno uso di droghe, o che si giocano il poco che hanno nei punti-scommessa disseminati nei nostri comuni, o che cadono nelle trappole mortali dell’usura o della malavita. A loro si uniscono le persone sole che vivono situazioni di malattia senza potersi pagarsi le medicine, anziani che vivono da soli, immigrati abbandonati alla loro sorte, giovani disoccupati in balia del nulla, uomini e donne di tutte le età, che vivono gravi forme di dipendenza da alcool o da gioco d’azzardo; giovani – a volte pure giovanissime – che si prostituiscono anche solo per una ricarica telefonica. Quante miserie! Quanta miseria! E noi, come facciamo a non chiederci: “Cosa dobbiamo fare?” Da anni sto chiedendo di fare la lettura del territorio per capire cosa si vive tra le case e le nostre strade ma, diciamocelo, manca inspiegabilmente l’interesse di tanti presbiteri e operatori pastorali. Mi chiedo, come si può progettare la pastorale senza tale conoscenza? Non riesco a convincermi quando mi si dice che si conosce la parrocchia. In tempi in cui la vita sta cambiando velocemente … noi, lasciatemelo dire, è come se non ce ne accorgessimo. È come se il nostro territorio fosse altro dalla nostra attività pastorale, spesso ripiegata su pochi. Come se la nostra unica preoccupazione fossero le celebrazioni, le chiese, le belle statue da portare per le strade durante feste costosissime…ma poi quello che vive la gente dentro le case e le tante miserie che le affliggono ci scivolassero via. Conosco gli sforzi che fate anche attraverso lecaritas parrocchiali o altro ma vi prego: apriamo gli occhi, andiamo incontro alle tante povertà di questo tempo. Il Papa ci invita a vivere le opere di misericordia corporali e spirituali perché in ogni fratello che aiutiamo, in ogni forestiero che ospitiamo, in ogni affamato a cui diamo un po’ di pane c’è Gesù. Lo stesso Gesù presente nell’Eucaristia, nella Parola e nella Comunità. Se è importante partecipare alla Santa Messa, è altrettanto importante correre dall’ammalato o dal bisognoso o difendere i diritti di chi è ultimo. Anche presso di loro c’è Gesù, lo stesso dell’Eucaristia! Anche i poveri vanno contemplati come si contempla l’Eucaristia. Quando nel giudizio finale giusti e condannati, meravigliati, chiedono al Giudice “quando mai?” hanno fatto o non fatto alcune cose, Lui risponde: “Tutto quello che avete fatto ad uno solo di questi miei fratelli più piccoli l’avete fatto a me” (Mt 25,40). Quelle azioni segneranno per sempre la nostra salvezza – se le avremo fatte – o, in caso contrario, la nostra condanna. Saremo giudicati sull’amore concreto e sulla misericordia, non su quello cantato o recitato. Convinciamoci che non possiamo dividere le tre mense che fanno la nostra identità cristiana: la mensa della Parola, quella dell’Eucarestia e quella dei poveri. Se ne manca una le altre due sono falsate e non c’è comunità. Né basta scusarsi dicendo che c’è il gruppo della carità. Perché la carità è di tutti e non si può delegare. Ogni mensa rimanda all’altra: la Parola fa desiderare l’Eucarestia che fa sentire il bisogno di muoversi verso il povero. Non è possibile una vita cristiana schizofrenica! Se abbracciamo la proposta fatta da Gesù, vivere il Giubileo significherà far si che le comunità arrivino finalmente a questa visione equilibrata e armoniosa. Così, ad esempio, sarebbe bello se nelle nostre parrocchie mentre alcune persone stanno in adorazione davanti a Gesù presente sull’altare, altre vanno a visitare e tenere compagnia ai vari malati, anziani o poveri della parrocchia; la settimana successiva quelli che hanno servito si fermeranno ad adorare e gli altri andranno a visitare. Fare giubileo non deve neppure significare andare in massa, soprattutto per Natale, o in altro giorno, negli ospedali o nelle case per anziani a fare festa. Sarebbe meglio se a turno, ogni giorno, per un anno, a due a due si va a fare compagnia a chi ne ha bisogno. La costanza riuscirà a cambiare la vita della parrocchia, perché l’ora della preghiera diventerà l’ora della carità. Così come –lo avevo già chiesto ma con scarsi risultati– in occasione delle feste popolari proviamo a spendere di meno e investiamo in gesti concreti di carità. C’è troppa povertà in questo nostro territorio. Non tutti mangiano ogni giorno! Certe feste patronali sono scandalose per lo sciupio del denaro. Dio è contento quando aiutiamo qualcuno a sorridere e a vivere!

Il nostro sia un cristianesimo pieno di umanità, ma non vissuto con gli occhi chiusi per evitare di essere disturbati. Il Papa a Firenze, invitandoci a essere chiesa inquieta, vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti, ha detto: “desidero una chiesa lieta col volto di mamma che comprende, accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà”.

E anche il dono del Papa di questa Croce realizzata con i remi dei pescatori cubani (che ricordano quelli degli immigrati), sembra vada proprio in questa direzione. Il Crocifisso è poggiato sui remi di coloro che faticosamente lottano per avere un po’ di pane e di futuro. Quello è il posto di Dio! Lo troviamo sempre dove c’è il povero, dove c’è qualcuno che lotta per la verità, la giustizia, il rispetto, li dove ci sono dei crocifissi! Questo regalo del Papa prendiamolo come impegno a vivere pienamente il Giubileo: in questo anno la nostra gioia più grande sia quella della carità! C’è una porta che è necessario aprire affinché ci sia vero Giubileo: quella del nostro cuore. Se lasciamo chiusa la porta del cuore, il Giubileo si ridurrà a una semplice manifestazione esteriore. Perciò cuori che si aprono, comunità, parrocchie, gruppi, movimenti, associazioni…che si aprono a Dio, ai poveri, tra loro perché nell’incontro dell’uno nell’altro sperimentiamo la vera gioia.

Allora, carissimi, è “tempo di svegliarci dal sonno” (Rm 13,11),è tempo di vivere la gioia della carità, di conoscere e soccorrere le miserie di quanti soffrono. E’ tempo di vivere da cristiani adulti che sanno stare davanti alla mensa della Parola, dell’Eucarestia e del povero muovendosi dall’una all’altra come nelle stanze dell’unica casa.

Ci aiuti la Vergine Santissima, a “BeddaMatri”; bella perché ha amato, bella perché ha ascoltato, bella perché ha servito! Ci aiuti perché scopriamo la bellezza del Giubileo e testimoniamo con i gesti che la misericordia di Dio è eterna e che davvero sono “beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia” (Mt 5,7).

 

Prima della benedizione finale l’Arcivescovo ha pronunciato queste parole:

A conclusione di questa solenne celebrazione desidero ringraziare le autorità che ci hanno onorato con la loro presenza. Il Giubileo è un evento di grazia che può avere anche delle incidenze sociali e speriamo che per la nostra città e provincia il giubileo della misericordia sia un tempo in cui si ristabiliscano la giustizia sociale e la pace. In particolare desidero ringraziare, a nome di tutta la chiesa agrigentina, il Signor Ambasciatore della Repubblica di Cuba presso la Santa Sede. Il Santo Padre ha donato alla nostra chiesa agrigentina il Crocifisso ricevuto dal Presidente cubano Raul Castro. L’opera realizzata dall’artista Alexis Leyva Machado – anch’egli in mezzo a noi, accompagnato dalla gentile consorte – sarà portata nelle zone pastorali della nostra diocesi e poi verrà definitivamente collocata nella Parrocchia di Lampedusa.

La Sua presenza, Gentile Ambasciatore, ci aiuta a sentirci vicini alla comunità cristiana della repubblica cubana. I remi che formano la croce che ci parlano della fatica e della sofferenza di tanta gente e la Sua presenza qui stasera sono per noi un invito ad avere sempre lo sguardo e il cuore ai bisogni di questo nostro tempoe a sentire vicine ogni persona e le comunità più lontane; quei remi ci ricordano i barconi e le migliaia di vittime che il nostro mare raccoglie, quasi fosse una tomba liquida.

Ci sentiamo anche onorati per la presenza dell’artista che ha realizzato l’opera. Spesso si pensa che l’arte sia distante dalla vita. Quanto ella ha realizzato testimonia come anche l’arte può svolgere un servizio prezioso alla fede e alla storia.

Vogliate gradire la nostra gratitudine e, all’inizio di questo anno giubilare, l’augurio di un tempo di grazia e di pace. Augurio che, La prego, vorrà estendere al Signor Presidente Castro e, oso dire, a tutto il popolo cubano che sentiremo sempre vicino quando guarderemo il Crocifisso.

Nostra Signora della Carità del Cobre, Patrona di Cuba, custodisca il Vostro paese e interceda per la pace in tutto il mondo. Ancora grazie.

Una parola a voi tutti. Grazie per essere qui. All’uscita vi sarà consegnata la mia lettera pastorale e gli adattamenti del Piano Pastorale Diocesano. Vi raccomando vivamente a dare la debita attenzione ai quattro momenti del progetto formativo (giornate per il clero e incontri degli operatori pastorali). Sono necessari per definire meglio il modello di Chiesa su cui lavorare nei prossimi anni. Ci conto davvero!

Un buon rientro a tutti