Giovedì Santo, l’Arcivescovo scrive ai presbiteri: “Grazie per ciò che fate in questo tempo”

Quest’anno,  la Messa Crismale del Giovedì Santo, non vedrà la Chiesa e i presbiteri dell’Arcidiocesi di Agrigento,  stringersi intorno al vescovo in Cattedrale, poiché è stata rinviata a quando l’emergenza sanitaria sarà superata.L’Arcivescovo, card. Francesco Montenegro, ha, comunque, voluto raggiungere i presbiteri con il  messaggio che pubblichiamo. 

Carissimi,

vi scrivo perché non voglio che questo Giovedì Santo passi senza porgervi gli auguri per la S. Pasqua e per il vostro sacerdozio. Non potremo rinnovare insieme le nostre promesse; lo faremo quando tutto sarà finito — voglia Dio che sia quanto prima — ma penso che nelle nostre chiese ripeteremo egualmente e singolarmente il nostro grazie e il nostro sì al Signore, anche se il contesto non è quello che avremmo voluto.

Abbiamo vissuto una Quaresima strana e andiamo incontro a una Pasqua strana. Siamo confusi e anche spaventati, non riusciamo a capire cos’è e perché sta avvenendo questo tsunami. Ma senz’altro Dio — al quale gridiamo aiuto — ci sta parlando e ci sta chiedendo qualcosa che per noi è ancora difficile decifrare; ciò di cui siamo certi è che per Lui conta il nostro bene.

Ai nostri “perché?” abbiamo bisogno di aggiungere con forza: «Signore, aumenta la mia fede!».

Sento il bisogno di dirvi grazie per quanto fate per le vostre comunità, ma soprattutto per ciò che state facendo in questo tempo di corona virus. In questo periodo sono saltati tutti i criteri della pastoralità; è vero che fisicamente abbiamo perso il contatto con la gente, ma è anche vero che quasi certamente siamo chiamati a riscoprire e a costruire l’essere Chiesa con modalità diverse dal passato e in una situazione di grande povertà e precarietà.

Vi fa onore e mi fa piacere sentire dalla nostra gente che, nella situazione attuale, non si sente abbandonata da voi. Grazie perciò per la vostra disponibilità e soprattutto per la vostra generosità. In un momento di “fermo” delle normali attività pastorali, state dimostrando la vivacità di questa nostra Chiesa.

L’importante è che, quando tutto sarà finito, tutti — noi e la nostra gente — riusciamo a comprendere la lezione che la Provvidenza e la vita ci stanno dando. Anche questo è tempo di Dio. È come se improvvisamente qualcuno abbia gridato al mondo intero: stop, basta, fermati! Pensavamo di aver costruito un mondo le cui fondamenta erano solide su quelli che ci sembravano o chiamavamo valori, invece andiamo scoprendo che non erano tali. Oggi molte famiglie vivono momenti difficili riguardo alle relazioni interpersonali, in molte case i rapporti vanno sempre più indebolendosi. Il superfluo e la mediocrità segnavano vite e scelte, e tutti vi ci eravamo accomodati; oggi si parla e si vede più povertà, ma senz’altro questa segnerà anche il futuro. Guardando indietro ci stiamo accorgendo che la stessa fede ha percorso sentieri che non erano la “Via” e l’essenziale dovrà essere la preoccupazione di domani. Speriamo, finito questo periodo, di trovare la forza di cambiare rotta, di riscoprire la bellezza di un Dio a cui avvicinarci però in maniera diversa, di una fede che abbia un’anima, di relazioni più vere.

Nella ricostruzione e ripresa post pandemia — che ci auguriamo di poter cominciare al più presto — noi presbiteri avremo di certo una parte fondamentale. Desidero, ma sono certo anche voi, che in questi giorni di sosta obbligata non ci sentiamo come coloro che sono in aspettativa dal lavoro, perché impossibilitati a svolgere il ministero. Non abbiamo le celebrazioni col popolo ma, come stiamo facendo, il rapporto con la gente sta continuando, anche se in altra maniera.

Ci accompagni in questo tempo l’immagine del Buon Pastore che sta sempre con le sue pecore. Noi per la gente siamo sempre una presenza che guida, che nutre, che conduce ai pascoli, che difende, che dà orientamento e unità al gregge. Col sacramento dell’Ordine, più che il potere, abbiamo ricevuto la capacità di orientare il popolo di Dio nel suo cammino. E questo vale sempre, nella normalità e nell’eccezionalità.

Noi apparteniamo a Dio e alla gente. Non si tratta di domandarsi fino a che punto ci si deve donare, ma di sapere che dobbiamo farlo fino in fondo. Il Buon Pastore dà la vita. E questo gesto — che Lui ha compiuto una volta per tutte — per noi non si compie una volta sola, ma giorno per giorno, con perseveranza e fedeltà.

Non siamo stati ordinati per “fare i preti”, ma per “essere preti”, cioè per non essere più noi stessi, ma per essere Lui, il Signore Gesù. Vivere per gli altri non significa solo lavorare a tempo pieno. Significa fare non ciò che vogliamo noi, ma ciò che vuole Cristo, che agisce in noi. Perciò continuiamo, per come è possibile, a stare accanto alla nostra gente; facciamo sentire che ci siamo e che ci siamo per loro, anche e soprattutto in un momento come questo che stiamo vivendo.

Prima di chiudere mi permetto di farvi un’ultima raccomandazione. Sono e saranno tempi difficili, quelli che ci aspettano; sono in tanti a non lavorare o destinati a perdere il lavoro. So che già tanti di voi stanno condividendo il proprio corrispettivo mensile del sostentamento con le famiglie bisognose del territorio e stanno partecipando alla raccolta fondi #DIAMOCIUNAMANO proposta da Caritas Diocesana. A chi non avesse avuto ancora modo di farlo suggerisco di approfittare di questi giorni pasquali per compiere gesti coraggiosi di condivisione, che ci aiutino a vivere concretamente il comandamento dell’amore, legato da Gesù al mistero eucaristico e al ministero sacerdotale durante l’ultima cena. Chiudo assicurandovi la mia preghiera e mi affido alla vostra.

✠ don Franco, Vescovo

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