Gerlando di Besançon, un santo per l’epoca della crisi

Oggi la nostra Diocesi è in festa per il suo santo Patrono, San Gerlando. L’uomo che riportò la fede cristiana nella nostra diocesi viene celebrato e ricordato il 25 febbraio. Alle ore 17 nella Concattedrale di San Domenico di Agrigento si terrà il Solenne Pontificale presieduto dall’arcivescovo card. Francesco Montenegro. A seguire l’urna con i resti mortali del patrono della Diocesi verrà riportata, con una processione che attraverserà le vie del centro storico, in Cattedrale. Affidiamo a un testo di don Vincenzo Lombino tratteggiare la figura del nostro santo patrono.

 Nonostante i mille anni che ci separano, il piccolo mondo di San Gerlando è molto vicino alla sfera d’interessi della nostra moderna e complessa società. Basta pensare al problema del dialogo arabo-cristiano, vivo al suo tempo come al nostro; oppure, visto che Gerlando fu scelto all’episcopato dal Gran Conte Ruggiero, al rapporto sempre critico tra Chiesa e potere politico. Ma la vicinanza va scoperta in ambiti ancora più esistenziali. Prendiamo il caso del corretto uso della libertà. In un mondo sempre più globalizzato e tecnicamente avanzato, oggi più che mai viviamo nella necessità di un discernimento continuo. Con la scoperta dell’immenso valore della libertà, ognuno, cristiano o non, comprende cioè che la sua riuscita in bene dipende dalla capacità di discernere la scelta giusta tra le innumerevoli possibilità che la vita d’oggi ci propone. Esso, il discernimento, fa parte dunque di quell’attrezzatura necessaria del vivere odierno, anche se non sempre lo si possiede, visto che è anche una capacità che si acquisisce solo con l’esperienza della vita, anche dopo sconfitte, e quindi con la maturità. San Gerlando fu maestro di discernimento e imparò a sue spese.

Venuto in Italia come pellegrino alla tomba di Pietro, per motivi che non conosciamo, fu coinvolto nella conquista normanna e scelto a dirigere la schola cantorum di Mileto, costituita da poco nel capoluogo normanno. Non vi doveva insegnare solo musica, ma piuttosto latino, filosofia, teologia, spiritualità, e altre discipline ancora, perché quella scuola era una specie di seminario per i preti latini, destinati alle nuove diocesi che i normanni istituivano man mano che conquistavano il Sud. Dalla Legenda di San Gerlando, un testo biografico del 1200 circa, sappiamo però che il mite canonico borgognone abbandonò ben presto l’incarico, scandalizzato per la vita disonesta che i conquistatori latini giunti nella greca Mileto conducevano. Al seguito dei normanni, appunto, scesero al Sud affaristi, girovaghi, trafficanti, opportunisti in cerca di fortuna; e forse alcuni di essi tentarono la vita ecclesiastica. Abituato a una vita più ordinata, protesa al servizio della Chiesa, e allo studio, Gerlando ritornò in Francia, dopo pochi mesi di vita di frontiera. Ma subito dopo, il Gran Conte Ruggiero, che da poco aveva conquistato Agrigento, lo fece cercare per eleggerlo vescovo della città e lo mandò a chiamare perfino dalla stessa Besançon. Non sappiamo quale dialogo sia intercorso con i messaggeri del conquistatore né quanto tempo gli occorse, ma Gerlando alla fine accettò l’incarico, certo conscio del tipo di vita e di uomini che lo attendevano, vita che prima aveva invece fuggito. Sicuramente alla luce della Parola e in preghiera, il canonico e letterato biscontino aveva fatto un discernimento, scegliendo ciò che in quel frangente storico poteva essere, per dirla in una parola, la volontà di Dio per lui. Più che la tranquillità dell’insegnamento nel Capitolo della sua città, Gerlando ha preferito assumere un gravoso incarico episcopale, lontano dalle accurate liturgie e dal silenzio dei chiostri, e piuttosto calato in una realtà per lui ostile, quale sarebbe stata la società araba agrigentina del tempo e la grossolanità delle truppe normanne.

Si è detto che per il popolo cristiano del medioevo, il monaco è l’ideale dell’immaginario spirituale, perché nel monaco si proietta tutto ciò che l’uomo della quotidianità non può essere: santità, purezza, lealtà, vittoria, rettitudine, umiltà, obbedienza a Dio, etc. E forse è per questo che il santo-monaco è a tutt’oggi il più popolare. Ma tale santità, quando è spogliata di ogni reale vicenda umana, non sembra scalfire minimamente l’uomo nella sua realtà quotidiana. Questa è infatti più caliginosa, più ondivaga, e non si è mai sicuri d’indovinare dove finisce il bene e dove inizia il male. Ad essa, alla quotidianità, va applicata necessariamente la categoria del discernimento cristiano. Per questo San Gerlando dovrebbe essere più vicino agli agrigentini di quanto lo pensino, come un modello a cui attingere.

Al di là delle immagini oleografiche e irreali, in San Gerlando è possibile cogliere il vero uomo e il vero uomo di Dio, forgiato dagli eventi e dalle delusioni, al discernimento, alla conversione interiore e all’assunzione di realtà umane autentiche. Un santo cioè vicino alla spiritualità attuale post-Vaticano II, in seguito al quale, dall’ostilità cristiana al cosiddetto «mondo», si passò all’assunzione di esso, visto come valore, perché vi si trova in opera l’incontenibile e imprevedibile Spirito Santo. Di sicuro, San Gerlando è santo per la quotidianità, perché ogni giorno e incessantemente la nostra personale storia ci chiama al discernimento, ma anche santo per la profezia, perché non ha esitato a infrangere una propria costruzione di vita, per accoglierne un’altra dettata direttamente dal Dito di Dio nella storia.