Card. Francesco Montenegro: “Una chiesa che non serve non serve”

Nel giorno in cui la Chiesa agrigentina ricordava il suo primo vescovo san Libertino, nella chiesa Sant’Alfonso ad Agrigento si è anche ringraziato il Signore per il dono del sacerdozio, 25° anniversario della loro ordinazione, a don Nazzareno Ciotta, don Giuseppe Anello e don Lillo Sardella.

L’arcivescovo Montenegro, nella sua omelia è partito dalle due domande alle quali la Parola di Dio del giorno dava risposta: chi è l’apostolo? Cosa è chiamato a fare l’apostolo?
«Forse a Corinto – ha detto l’arcivescovov – c’era chi ne aveva idealizzato la figura o chi si divertiva a tifare per l’uno o l’altro apostolo. Paolo a riguardo scrive – le sue parole valgono per me Vescovo, per i sacerdoti e per ogni battezzato – che l’apostolo non è padrone ma servo, non è protagonista ma strumento, non è fine ma mezzo. È Dio a far crescere il Suo gregge; noi siamo amministratori dei suoi beni e dei suoi misteri; a noi è richiesta soltanto la fedeltà. Paolo mette anche in risalto la fragilità dell’apostolo: porta un tesoro – i misteri di Dio – in un vaso di creta – la sua umanità. Ecco cosa siamo noi, presbiteri e laici: piccoli vasi di creta che Dio ha riempito con la sua grazia. Egli agisce perché si veda “che questa potenza straordinaria viene da Lui e non da noi”. Per questo l’apostolo non deve mai sentirsi sconfitto o schiacciato o abbandonato perché Dio è sempre dalla sua parte e ogni esperienza di prova è sempre occasione di speranza e anticipo di risurrezione.
Forte di ciò san Libertino è venuto ad Agrigento nei primi secoli dell’era cristiana per portare il Vangelo. Ha creduto fino in fondo che il tesoro di grazia racchiuso nel piccolo vaso della sua vita andava seminato. Senza fermarsi davanti alle difficoltà, e senza temere la persecuzione, è andato fino in fondo affinché il seme del Vangelo entrasse e si radicasse nella storia di questa terra. Egli è stato Pastore e martire, cioè si è identificato con quanto annunciava e professava; il nostro primo Vescovo ha fecondato con il suo sangue questa chiesa che da lì in avanti ha intrapreso un cammino ricco di tanti doni. Il suo insegnamento interpella noi, oggi: chiediamoci perciò se stiamo dando la vita per il Vangelo oppure ci stiamo accontentando di portare avanti l’ordinaria amministrazione preoccupati semmai di ripetere tradizioni e pratiche che sanno di passato ma non profumano di futuro e di novità. Chiediamoci se il Vangelo ci sta rendendo “martiri”, cioè testimoni di un amore più grande, mettendoci anche al servizio dei poveri, degli esclusi, degli emarginati… L’apostolo è un vaso di creta che deve rimanere aperto, che si dovrebbe rompere se si vuole che il tesoro contenuto si espanda. Preoccuparsi di conservarlo intatto è mettersi fuori del Vangelo e della storia. […] Il Vangelo ci aiuta a rispondere alla seconda domanda: cosa deve fare l’apostolo? I discepoli discutono su chi è più grande e chi è più importante e si preoccupano di accaparrare i primi posti. La tentazione del potere è stata ed è presente anche negli uomini di chiesa. Quante volte, abbiamo discusso su chi è più importante, o giudicato e guardato male chi è chiamato a occupare particolari posti, considerati di prestigio… Gesù frena questo modo di ragionare e dice: “Per voi non sia così”. I discepoli di Gesù non può essere come gli altri. Possono essere fragili come gli altri, ma si distinguono per il programma di vita. Gesù dice chiaramente: “Chi vuole essere il più grande diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve”. Ecco chiarita la missione del discepolo: uno che serve! Una persona normale che scegli di mettersi a servizio di tutti, che lava i piedi, che sa stare all’ ultimo posto. […]
Il servo sa di dipendere dal padrone, pensa al servizio, non ha manie di grandezza, non si lascia corrompere dalle logiche di potere; è concentrato su ciò che gli chiede il padrone; non cerca i primi posti ma è felice del posto che il signore gli ha dato; non disprezza né giudica gli altri servi perché sa che vivono la sua stessa situazione. Il Signore ci vuole tutti servi; ognuno con le proprie responsabilità ma tutti con la stessa umiltà.
La chiesa agrigentina è posta in questo territorio per servire. Non ci viene chiesto di fare cose straordinarie o di escogitare strategie innovative; ma di avere un chiodo fisso quello di servire. In questi anni mi avete sentito parlare spesso di poveri e di immigrati; dietro questa mia sollecitudine non c’è un pallino personale ma un’esigenza di Vangelo. Il Vangelo ci chiede di stare dalla parte degli ultimi; non consiglia ma esige che ci mettiamo a servizio di chi soffre, di chi non ha una famiglia, di chi è disperato o solo o senza futuro. Qualunque sia la sua origine. Il Vangelo, lo ribadisco, non ci lascia liberi di scegliere, ma ci mette accanto a chi soffre; non farlo è mettersi fuori del Vangelo. Dobbiamo sentire la premura di servire l’immigrato, l’ammalato solo che abita vicino casa nostra, il giovane disoccupato, la famiglia in crisi…
Ho difficoltà a comprendere una Chiesa pronta a fermarsi davanti all’Eucarestia (e fa bene a farlo!) ma non altrettanto pronta a fermarsi davanti al povero. Qualcosa non funziona. È come se il pane eucaristico fosse un Gesù diverso dall’altro sacramento scomodo che è il povero: sono tutti e due lo stesso Cristo. Ammettiamolo, è più facile da accostare un pane che tace, che un uomo che puzza. Convinciamoci che una chiesa che non serve non serve a nulla. Ve lo chiedo ancora una volta, troviamo il coraggio di ripartire dal servizio. Vinciamo le resistenze. Non accontentiamoci di essere chiesa chiusa tra le mura o ingabbiata dentro le logiche del “si è fatto sempre così”. Siamo Chiesa aperta alle sfide del mondo, intraprendente nel servizio, coraggiosa di fronte alle piaghe di questo tempo e di questa terra.
Nel ricordo di san Libertino, sentiamoci fieri di appartenere a una diocesi dalle radici lontane e, guardando lui, troviamo motivazioni per nuovi slanci e per rami che svettano verso il cielo. Per i seminaristi, per il clero, per me e per voi in modo particolare, don Nazzareno, don Giuseppe e don Lillo (anche se non presente alla celebrazione per problemi familiari, ndr), a cui auguro ogni bene, prego perchè siamo discepoli che non si fermano di fronte alle difficoltà e, soprattutto, discepoli che sanno servire e che, come san Libertino, sanno dare la vita per il Vangelo. La Vergine Santissima ci aiuti tutti a fare del servizio la nostra regola di vita, dell’attenzione agli ultimi il nostro carisma, della lavanda dei piedi al povero il nostro gesto più bello».
In occasione del 25° anniversario di sacerdozio, nella parrocchia guidata da don Nazzareno Ciotta, San Michele alla Badiola, è stato presente il reliquiario della Madonna delle Lacrime di Siracusa, un momento di particolare grazia per la comnità parrocchiale che ha festeggiato con questa preziosa presenza il proprio parroco.

MDM

Foto: Massimo Palamenghi